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La tuma e le carrubelle siciliane. Estate nel piatto

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Appena tornato dal mio indimenticabile viaggio nella fantastica Sicilia, ecco un piatto veloce ed adatto all'estate, decisamente poco battuto: le carrubelle, ovvero come poter "leggere" le classiche acciughe sott'olio esaltandole con uno dei formaggi più rinomati dell'isola, la tuma. La tuma viene prodotta unicamente dalla sola cagliata del formaggio, senza aggiungere sale, procedimento che implica quindi un consumo non oltre le due settimane. In altri termini questo formaggio viene prodotto nella primissima fase iniziale di lavorazione del classico "picurinu" siciliano. Precede anche il "primosale", formaggio pecorino "molto giovane" e prodotto durante il secondo livello di stagionatura. Pasta dura, più o meno asciutta, con eventuale speziatura di pepe nero o peperoncino, la tuma ha una forma generalmentre rotonda, possiede una crosta assai dura dal colore tra il giallo ed il marrone chiaro. L'estate è sinonimo di facilità

I fornacini, la cattedrale ed il peposo del Brunelleschi

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Il peposo alla fornacina, meglio conosciuto come peposo del Brunelleschi, nasce tra le colline della valle del Greve, più precisamente ad Impruneta. È ricetta assai umile e semplice, per anni caduta nel dimenticatoio e riscoperta solo da poco; si narra che il costruttore della cupola della cattedrale di Firenze ne fosse particolarmente ghiotto… È risaputo che i numerosi operai, coinvolti nell’opera di costruzione della cattedrale fiorentina, amassero cibarsi di questo piatto a base di carne di manzo, vino rosso, pepe e pochi altri odori facilmente reperibili. I fornacini, addetti al controllo del fuoco che doveva ardere tutto il giorno per cuocervi le tegole del campanile, una volta arrivati a coprire il turno di notte, trovarono il modo di “rallegrare” l’estenuante veglia forzata con un piatto caldo, possibile da preparare sfruttando il forno. La carne disponibile era generalmente di bassa qualità, l’unica che ci si poteva permettere: pezzi di muscolo di manzo tagliato grezzamen

La "Piccola Gerusalemme" ed il suo "sfratto"

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Nell'Area del Tufo, poco meno di 4000 anime, un ridente paesello sito a 300 metri d'altezza, in provincia di Grosseto. Pitigliano è rinomata in tutta la Toscana: sin dal lontano 1500 ospita una comunità ebraica assai strutturata e fortemente integrata nel contesto sociale cittadino. Da qui il nome di "Piccola Gerusalemme". Il quartiere ebraico, la Sinagoga, i bui e stretti vicoli del centro, dominati da cantine, vasche, magazzini e botteghe di cucina kasher. Lo "sfratto", tipico dolce del luogo, nasce in questo contesto storico e culturale. La forma ed il nome sono riconducibili alle dolorose vicende che la comunità ebraica di Pitigliano visse in prima persona al tempo di Cosimo II de' Medici, Granduca di Toscana dal 1609 al 1621. Fu emanato un editto nel quale si intimava agli ebrei di abbandonare le proprie case per trasferirsi nel ghetto. Lo sfratto veniva notificato singolarmente alle famiglie della zona battendo appunto un bastone sulla porta

Il frigo piange, un eco eterno? Ecco le uova all'aglio di Cecina!

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Siate sinceri, vi capita spesso! Che sia la frenesia del lavoro-famiglia-attività varie o l'approssimarsi di ferie lunghe (indi per cui è necessario svuotare il frigo), un terribile e triste eco, interminabile, si impossessa sovente del nostro frigo, lasciando un alone di triste incertezza su tutto... Terrore. Solitari e mesti: spicchi d'aglio, rimasugli di acciughe sottosale e i sempiterni capperi aspettano impassibili la loro sorte, troppo a lungo, diremo! Il bello della cucina tradizionale è proprio qua: puoi fare un gran piatto anche col nulla. Passando intere notti assieme al mio insostituibile manuale, Il Grande Libro della Vera Cucina Toscana, scritto di tutto pugno da Paolo Petroni, ho scoperto questa ricettina easy easy tipica delle mie zone; siamo più precisamente a Cecina, ridente paesello ad un tiro di schioppo da casa mia. Un piatto veloce dove il re assoluto è l'aglio. PS: accertatevi di non vedere nessuno nelle successive 24 ore! UOVA ALL'AGLIO

Tra Ragusa ed Enna: coniglio al fondente

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Reminiscenze spagnole, visti i trascorsi, per un piatto tipico del territorio compreso tra la centralissima Enna ed il sud, il Ragusano. La Sicilia ci regala storia, natura, cultura e magnificenza in cucina.  Il cioccolato, centrale nelle preparazioni di carne, nello specifico negli umidi di selvaggina, era abbondantemente utilizzato durante il tardo Rinascimento, dove i "contrasti" nel piatto erano all'ordine del giorno.  Una piccola variante: mandorle pelate e sultanina, una lettura che si avvicina di gran lunga al classico dolceforte toscano. Dopo 8 ore di marinatura questa carne darà il meglio di sé! CONIGLIO AL FONDENTE, MANDORLE E SULTANINA, per 4: - 1 coniglio - cioccolato fondente amaro al 60%, 90 gr. - 1\2 carota - 1\2 cipolla - 2 cucchiai abbondanti di mandorle pelate - 2 cucchiai di uvetta sultanina - della farina - olio evo, sale e pepe qb Per la marinata: - vino rosso, 350 ml. - aceto di vino bianco, 1\3 di bicchiere - 1 costa di sedano - 1\2 c

Alici, quintessènza del pesce azzurro. La briga

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Se pensiamo alla alice o acciuga subito ci saltano in mente tre preparazioni assai frequentate, testimonianze autorevoli dei territori di riferimento: la torinese e poderosa bagna cauda, le acciughe al verde (“bagnet verd”, salsa piemontese a base di aglio, prezzemolo e acciughe sotto sale, utilizzata per accompagnare i bolliti) ed in ultimo un “assaggio” della pittoresca costiera Amalfitana con le sua rinomata colatura di alici di Cetara, color ambra vivo nel piatto. 40.000! Sono il massimale di uova che una femmina di acciuga depone sottocosta nel periodo di riproduzione, che avviene da aprile a settembre inoltrato. Pesce azzurro per eccellenza, può raggiungere una lunghezza che alle volte supera abbondantemente i 20 cm. Sul mercato troviamo agilmente le alici bianche, leggermente più piccole e adatte a fritti e marinature nel limone, mentre con le acciughe more o morelline possiamo preparare il sottosale o un bel ripieno al forno. Ho scoperto recentemente, con somm

Il termometro, utile strumento spesso sottovalutato

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Lo studio dei processi chimici e fisici della cottura delle pietanze, correlati alla temperatura raggiunta, è stato affrontato assai recentemente: ci siamo accorti che il successo, la riuscita del piatto, sono in stretta relazione a "quanta fiamma" poniamo durante la cottura; ed ecco la sentenza: le temperature, spesso, sono in eccesso! Per un filetto di manzo grigliato, per esempio, è ottimale raggiungere i 56 gradi al cuore; il collagene comincia a sciogliersi a temperature superiori, verso i 64 gradi, sicché si può cuocere uno spezzatino di biancostato, taglio particolare. Altro spunto: se si superano i 62 gradi mentre cuociamo un uovo in acqua, lo zolfo ed il ferro, che separati non danno nessun problema, entrano irrimediabilmente in soluzione formando il solfuro di ferro, leggermente tossico e amarognolo. Per garantire perciò un gusto ottimale alle uova è necessario cuocerle a non più di 62 gradi. I termometri da cucina sono vari e assolutamente necessari alle molte

Matuffi lucchesi... al sapor di mare!

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Ricetta tipica della Lucchesia e di tutta l'alta Toscana, è particolarmente conosciuta nella nostra regione. Come spesso accade per i piatti della grande tradizione locale, sono a nostra disposizione numerose varianti e riletture, anche nei nomi: è assai simile la garfagniga "polenta incagiata" o il "cazzalà" dell'alto massese. Qui, troneggiano tra tutti i ragù di carne ed i funghi porcini, che accompagnano, appunto, dei grossi "batuffoli" di farina gialla e farina 00 formati con due cucchiai, simili ad una sorta di quenelle; l'impasto misto viene messo a cuocere in un poco di acqua fino ad avere una consistenza più liquida rispetto alla classica polenta, facilmente lavorabile con le posate di cucina. Ovviamente, visti gli ingredienti, i matuffi sono maggiormente adatti al periodo autunnale; ma questa versione marinara, scoperta per caso in quel di Viareggio, vuole l'utilizzo di arselle o vongole veraci, sicchè il piatto si può adattare

#dolceforte

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#dolceforte #pinoli #uvetta #prosciutto #capperi #candito #aceto #zucchero

Dolceforte di baccalà. Parola d’ordine: contaminazione!

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Dolceforte, salsa d’accompagnamento assai strutturata, entrante al palato: gli opposti vanno a braccetto a fine cottura! In pieno Rinascimento i contrasti di sapore in cucina erano assai battuti ed amati, soprattutto negli ambienti agiati, a corte; rappresentavano cioè il “mood del momento”, diremmo oggi. Nello specifico abbiamo notizie della presenza di questa parola già nei ricettari dati alle stampe ad inizio ‘500, mentre le zone maggiormente interessate dall’utilizzo di questa salsa erano, storicamente, il Fiorentino ed il Senese. I piatti protagonisti risultavano essere, in massima parte, gli umidi di cacciagione, lepre o cinghiale, ai quali, a metà cottura, veniva aggiunta (reggetevi!) la seguente salsa: una base di cioccolato fuso nel burro, dei cavallucci e panforte tritati, una spolverata di noci sbriciolate, uvetta sultanina e pinoli. Il tutto veniva fatto cuocere brevemente nell’aceto per poi essere versato sulla pietanza quasi a fine cottura. Insomma: contra

1600. I pescatori nel Golfo di Biscaglia: il baccalà

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Il baccalà è il merluzzo nordico (Gadus morrhua), aperto, eviscerato e messo sotto sale per essere conservato. Facilmente reperibile in commercio, lo troviamo "a filettoni", cioè senza lische, oppure intero con le lische. L'origine etimologica è assai complessa e studiata; la parola "baccalà" deriva dallo spagnolo "bacalao" che a sua volta possiede marcate reminiscenze fiamminghe: "bakeljauw" significava letteralmente "bastone di pesce". Ci troviamo agli inizi del '600. I pescatori che partivano dalle coste del Golfo di Guascogna per dare la caccia principalmente alle balene, si accorsero che, per conservare agilmente il cetaceo durante le lunghe ed estenuanti giornate di pesca, era funzionale coprirlo con abbondante sale, che poteva così preservare la salubrità del prezioso pescato. La tecnica fu adoperata anche per il merluzzo. I norvegesi adottarono questa tecnica di conservazione solo successivamente, tanto che, nel tardo

Gamberi allo zafferano ed arancia su crema di fagioli neri

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A metà febbraio ho avuto la fortuna di visitare gran parte dell'Umbria per circa una settima na, ancora totalmente ignaro delle problematiche che sarebbero sorte di lì a poco. Questa regione ci regala storia, cultura e gastronomia all'ennesima potenza . Ho ancora scolpite negli occhi molte immagini suggestive: la magnificenza di Piazza dei Priori a Perugia, la pittoresca Gubbio, gli splendidi luoghi rinati dal terremoto del 1997, Foligno, Nocera Umbra e Gualdo Tadino, l'affascinante spello con le sue viuzze, Spoleto e la perfetta acustica di Piazza Duomo, sede del celebre Festival, lo scrosciare poderoso e violento delle cascate delle Marmore subito dopo l'apertura delle paratie, Orvieto (tutta bellissima, un'insolita scoperta) e Todi, città che ha dato i natali a Jacopone. E poi c'è la ferita non ancora rimarginata, l'ultimo evento sismico che ha sconvolto e piegato queste terre: Norcia, Cascia e Castelluccio di Norcia, quest'ultimo paese sito prop

Cucina e cinema: 7 spunti

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Fame o convivialità, opulenza o povertà, sofferenza o gioia, svago o professione: la società si rispecchia nelle tradizioni gastronomiche. Che se ne parli direttamente o solamente con dei timidi accenni, il binomio vincente cucina-cinema è oramai entrato a pieno titolo nella cultura di massa ed è sempre stato fortemente frequentato da numerosi registi di tutto il mondo. Ecco 7 titoli che rappresentano al meglio questo rapporto. 1. MISERIA E NOBILTA' (1954), regia di Mario Mattioli La pellicola non è espressamente dedicata alla cucina, ma i temi della "fame", del desiderio, dell'aspirare ad una vita meno grama, aleggiano abbondantemente in tutto il film. Famosa è la scena in cui Totò, venduto il cappotto al monte dei pegni, detta la lista della spesa in base ai soldi ricavati: "mozzarella, la premi con le dita, se esce la goccia la compri, sennò desisti". Altra scena notissima, centrale del film: Totò- Felice Sciosciammocca e i familiari si avventano sulla

Nel Golfo dei Poeti: la mesciua spezzina

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Dietro la Liguria dei cartelloni pubblicitari, dietro la Riviera dei grandi alberghi, delle case da gioco, del turismo internazionale, si estende, dimenticata e sconosciuta, la Liguria dei contadini. (Italo Calvino)   Cannellini, ceci e farro: la semplicità fatta ricetta. Il porto di La Spezia, inserito nel caratteristico Golfo dei Poeti, è oggi uno dei centri nevralgici per lo smistamento delle merci, centrale non solo per le attività economiche della Liguria ma fondamentale anche per tutto il comparto nazionale. Le sue banchine vedono nascere, presumibilmente nel XIV secolo, questa tipica ricetta della tradizione povera ligure, che significa “mescolanza”, “miscuglio”: pochi ingredienti per un risultato assai superlativo! Immaginatevi le mogli dei portuali ad attendere, frementi, le imbarcazioni cariche di provviste varie in arrivo ed in partenza dal porto; durante le operazioni di sbarco ed imbarco era uso raccattare ciò che fuoriusciva dalle fessure delle balle di gran

#tartetatin

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#dolce #mela #lampone #mora #vaniglia.

Cogli l'attimo! La ciliegia al suo top

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Due mesi e mezzo o poco più, sua maestà la ciliegia. Nel periodo compreso tra la tarda primavera e l'estate, prima che il solleone domini l'intero italico Stivale, è d'uopo essere assai scaltri: alcune ricette, fattibili in questo periodo, possono essere cucinate esclusivamente in un risicato lasso di tempo; la sublime garmugia lucchese, già esposta qui, per esempio, delizia i nostri palati ahimè per poco, a causa della brevissima reperibilità delle verdure fresche in uso. Come ho già avuto modo di sottolineare in altri post, sono sempre stato marcatamente portato per le contaminazioni di stili, per i contrasti di sapori; segnatamente adoro l'utilizzo che si può fare della frutta, sia d'inverno che d'estate, accostandola ai vari tipi di carne. Sono mie le lunghe o lunghissime cotture, il fuoco bassissimo, gli aromi che si sprigionano dalla pentola dopo ore e ore di spasmodica attesa. Fine maggio: una varietà di ciliegia particolarmente nota ed utilizzat

Treschietto, la cipolla e la sua barbotta

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Alla fine mi ritrovo spesso lì, nell'alta Toscana. Sarà perchè la Lunigiana in particolare è terra così caratteristica: gli spunti gastronomici sono fortemente interessanti, a maggior ragione se le origini delle ricette si intrecciano con le varie vicende storiche dei luoghi, così legate alla vita contadina di un tempo. Avendo già sublimato i miei desideri con l'arbadela e la scarpaccia, oggi voglio imbattermi in un'altra prelibatezza dell'alta Toscana. Se dici Pontremoli e Lunigiana dici torta d'erbi (come dire Livorno e cacciucco), ma poi scopriamo anche molte altre leccornìe. A 18 km più a sud di Pontremoli possiamo visitare il pittoresco paesello collinare di Treschietto, frazione di Bagnone sita a 444 metri. L'abitato ci regala una primizia assoluta, la cipolla omonima appunto, che ha l'onore di possedere un suo specifico Comitato per la Valorizzazione. Questo tipo di ortaggio è caratteristico di questa particolare zona ed in più ha avuto la fo

Tra Tuscia e Maremma: la parca acquacotta dei bovari

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Chi non conosce la celebre canzone nata due secoli fa durante la bonifica del maremmano? Verso metà ‘800 lasciavamo le case ed i propri affetti per andare a lavorare tra le acque malsane di quel maledetto lembo di terra, la paludosa Maremma, che tante vittime aveva mietuto a causa della malaria. Ecco, il mood deve essere, a mio avviso, anche questo: comprendere in che contesto storico, culturale e sociale possa essere nata una ricetta, con le sue possibili varianti zonali. I grandi piatti tradizionali della Toscana del sud, in particolare, sono figli del sudore, della fatica, del “che metto oggi nella zuppa?”, della ciclicità delle stagioni e, in ultimo, della solidarietà gastronomica: quando la povertà era soverchiante ed interessava ampie fasce di popolazione, era uso “socializzare” tra le famiglie passandosi il prezioso “conditoio”, celebre osso di prosciutto che viaggiava di casa in casa, di pentola in pentola, andando ad insaporire le minestre; vista la frequente man

Cocotte o terrina?

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Chi non la ha in casa, soprattutto nella sua versione più gettonata, la cocottina? La differenza tra l'italianissima terrina e la francese cocotte non è oggettivamente assai marcata, se non per la forma di quest'ultima che generalmente risulta tondeggiante, mentre le cugine italiane possono essere anche rettangolari ed assai più grandi.  La cocotte è sostanzialmente una casseruola ed è utilizzata nelle cotture che prevedono l'uso del forno; è provvista di coperchio, anche se sovente non viene adoperato. I materiali con cui è fatta sono la porcellana, la ghisa o la terracotta temperata.  Le cocotte più antiche, andando a ritroso nel tempo, erano unicamente di terracotta. Ad oggi questo utensile detiene il primato di essere il contenitore più antico per la cottura, originariamente impiegato per svariate ricette, dai bolliti di carne alla semplice polenta.  Una normale cocotte può servire fino a 6 persone, mentre la cocottina, sua sorella minore, sforna porzioni i

Sotto le Apuane: la marocca o focaccia seravezzina

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Generalmente non mi addentro di buon grado nella panificazione o affini, poiché, arte per eccellenza, richiede cure e attenzioni che devo ancora elaborare con un certo criterio. Avendo però della farina di mais avanzata e delle olive nere denocciolate, ho tentato un percorso assai poco impegnativo, estraneo ai tempi delle più comuni lievitazioni. La marocca o focaccia seravezzina prevede infatti un impasto misto di farina 00 e farina gialla ed un riposo assai veloce, si e no trenta minuti. Questa focaccia è tipica di Seravezza, pittoresco paesello posto appena sotto le magnificenti Alpi Apuane, nelle vicinanze delle rinomate Forte dei Marmi e Pietrasanta, fiori all'occhiello del turismo estivo costiero lucchese. Di forma circolare, la marocca deve essere alta circa tre centimetri e risultare sicuramente un pochino meno soffice, vista la preparazione di farine miste. L'aggiunta di lardo e rosmarino regala alla nostra cucina un profumo decisamente inebriante appena sfornata l

#lovepasta

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#cinquecereali #cilieginogiallo #noccioladiGiffoni  #champignon #yogurt #limone

Quando il colore è #cool...

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Solanum lycopersicum è il nome botanico della pianta del pomodoro. Appartiene alla famiglia delle Solanaceae, noi consumiamo appunto la sua bacca : questo è un aspetto assai poco conosciuto dalla moltitudine. Tralasciando in toto la descrizione della sua antichissima origine, che lo vede protagonista sin nel lontano XII secolo nelle valli peruviane abitate dagli Incas, oggi ci addentriamo velocemente nella descrizione di una simpatica variante, il giallo, al quale gli hashtags #cool, #mood e #trendfood si abbinano assai piacevolmente. I primi pomodori conosciuti ed utilizzati in Europa nel XVI secolo erano proprio di questo colore, ecco quindi la parola "pomo d'oro", venivano però adoperati unicamente come decorazione. Oggi il datterino e il ciliegino giallo sono purtroppo difficilmente reperibili nel circuito della grande distribuzione. Carichi di minerali e di antiossidanti, marcatamente più dolci dei loro cugini rossi, sono dotati di un grado di acidità assai bass

Prima della soupe à l'oignon, reminiscenze toscane e non: la carabaccia

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E' risaputo come Caterina de' Medici, divenuta consorte di Enrico II nel 1533 e portando nella terra d'oltralpe molta della variopinta tradizione gastronomica fiorentina, si facesse sovente preparare la suope à l'oignon, uno dei suoi piatti preferiti a corte. Le prime informazioni bibliografiche su questa zuppa risalgono a qualche anno prima, segnatamente le troviamo nel libro Banchetti, compositione di vivande et apparecchio generale , scritto di tutto pugno dal noto scalco ferrarese Cristoforo Messisbugo. In questa sua ricetta, nominata carabazada de magro , i quantitativi di mandorla sono però decisamente eccessivi per il mood contemporaneo, per come può essere interpretato oggigiorno il piatto in relazione ai gusti correnti; il versus , comunque, cioè il contrasto evidente tra dolce e salato, deve in ogni modo permanere. Etimologicamente sembra che il nome carabaccia possegga delle origini grece (figuriamoci!), dove karabos significava barca a forma di guscio

L'arte di creare il banchetto: lo scalco ferrarese Cristoforo di Messisbugo

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Di Cristoforo di Messisbugo non si hanno notizie esaurienti, sappiamo che era ferrarese, di origini familiari belghe e morì nella sua città intorno al 1548. Il padre Antonio era persona assai introdotta negli ambienti frequentati dai duchi di Ferrara, sicché Cristoforo ebbe modo di farsi eleggere Provveditore sotto Ercole II d'Este, duca di Ferrara, Modena e Reggio e successivamente venne addirittura nominato Conte Palatino da Carlo V d'Asburgo, intorno al 1533. Ebbe l'opportunità di coltivare assidui rapporti anche con i Gonzaga, divenendo consigliere personale della duchessa Isabella d'Este. Il matrimonio con la nobildonna Agnese di Giovanni Gioccoli fu molto proficuo: alla corte estense controllava e amministrava gli importanti fondi. Ma il ruolo maggiormente prestigioso che ricoprì fu quello di scalco , in camerata di cucina il più alto grado a cui si potesse ambire negli ambienti aristocratici del tempo: il sovrintendente, in pratica, il contemporaneo general