Dolceforte di baccalà. Parola d’ordine: contaminazione!

Dolceforte, salsa d’accompagnamento assai strutturata, entrante al palato: gli opposti vanno a braccetto a fine cottura! In pieno Rinascimento i contrasti di sapore in cucina erano assai battuti ed amati, soprattutto negli ambienti agiati, a corte; rappresentavano cioè il “mood del momento”, diremmo oggi. Nello specifico abbiamo notizie della presenza di questa parola già nei ricettari dati alle stampe ad inizio ‘500, mentre le zone maggiormente interessate dall’utilizzo di questa salsa erano, storicamente, il Fiorentino ed il Senese.

I piatti protagonisti risultavano essere, in massima parte, gli umidi di cacciagione, lepre o cinghiale, ai quali, a metà cottura, veniva aggiunta (reggetevi!) la seguente salsa: una base di cioccolato fuso nel burro, dei cavallucci e panforte tritati, una spolverata di noci sbriciolate, uvetta sultanina e pinoli. Il tutto veniva fatto cuocere brevemente nell’aceto per poi essere versato sulla pietanza quasi a fine cottura. Insomma: contrasti di sapore, contaminazione direi, così tanto desiderati e ricercati. E vi chiederete: ma prima dell’arrivo del cioccolato dalle Americhe, che usavano? Il miele, naturalmente!

Gadus morhua, questo il nome scientifico del merluzzo. Etimologicamente la parola deriva dallo spagnolo “bacalao”, che a sua volta possiede reminiscenze fiamminghe, dove “bakeljauw” significava letteralmente “bastone di pesce”. ‘600, Golfo di Guascogna: i marinai che partivano per giorni interi a caccia di balene si accorsero che, mettendo sotto sale il prezioso pescato, si poteva mantenere agilmente la sua salubrità, per molto tempo, sicché la tecnica fu applicata non solo ai cetacei ma anche ai merluzzi.

L’essiccazione del merluzzo, cioè lo “stoccafisso”, precede la tecnica di salagione, tanto che la troviamo presente già dagli anni ’30 del ‘400. Una chicca: alle volte il baccalà veniva adoperato come una specie di “barometro”; appeso con delle corde agli alberi delle navi, se i pescatori notavano un principio di scioglimento del sale, significava che il tasso di umidità stava aumentando, presagendo così l’arrivo di pericolose tempeste.

Bando alle ciance, tentiamo di strutturare questo potpourri di sapori, una versione un poco meno “impegnativa” dell’originale dolceforte rinascimentale.

DOLCEFORTE DI BACCALA', per 4:
  • Baccalà già ammollato (altrimenti 36 ore di ammollo con cambio acqua ogni 8)
  • 1 cucchiaio di zucchero
  • 2 cucchiai di uvetta sultanina
  • 2 cucchiai di pinoli
  • 1\2 bicchiere di aceto bianco
  • della farina
  • olio evo, sale e pepe qb
  • del pepe nero in grani
Spellare il baccalà: porlo su un ampio tagliere con la pelle rivolta verso l’alto e, aiutandosi con la parte non tagliente di un trinciante, eliminarla con forza. Scartare la striscia di baccalà con le spine o, utilizzando una pinza, toglierle una ad una. Tagliare a pezzi il tutto creando dei tocchetti di 5×7 cm; infarinare, quindi friggerli in padella con poco olio d’oliva; mettere da parte su carta assorbente. In una casseruola porre l’aceto, mezzo bicchiere d’acqua, i pinoli, la sultanina rinvenuta, lo zucchero, poco sale unitamente a qualche grano di pepe nero. Far andare a fuoco vivo per circa 5 minuti, quindi versare la salsa sui tocchetti di baccalà fritto posti nuovamente in padella, proseguire per pochi minuti. Servire subito.


Dolceforte di baccalà

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