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Matuffi lucchesi... al sapor di mare!

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Ricetta tipica della Lucchesia e di tutta l'alta Toscana, è particolarmente conosciuta nella nostra regione. Come spesso accade per i piatti della grande tradizione locale, sono a nostra disposizione numerose varianti e riletture, anche nei nomi: è assai simile la garfagniga "polenta incagiata" o il "cazzalà" dell'alto massese. Qui, troneggiano tra tutti i ragù di carne ed i funghi porcini, che accompagnano, appunto, dei grossi "batuffoli" di farina gialla e farina 00 formati con due cucchiai, simili ad una sorta di quenelle; l'impasto misto viene messo a cuocere in un poco di acqua fino ad avere una consistenza più liquida rispetto alla classica polenta, facilmente lavorabile con le posate di cucina. Ovviamente, visti gli ingredienti, i matuffi sono maggiormente adatti al periodo autunnale; ma questa versione marinara, scoperta per caso in quel di Viareggio, vuole l'utilizzo di arselle o vongole veraci, sicchè il piatto si può adattare

#dolceforte

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#dolceforte #pinoli #uvetta #prosciutto #capperi #candito #aceto #zucchero

Dolceforte di baccalà. Parola d’ordine: contaminazione!

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Dolceforte, salsa d’accompagnamento assai strutturata, entrante al palato: gli opposti vanno a braccetto a fine cottura! In pieno Rinascimento i contrasti di sapore in cucina erano assai battuti ed amati, soprattutto negli ambienti agiati, a corte; rappresentavano cioè il “mood del momento”, diremmo oggi. Nello specifico abbiamo notizie della presenza di questa parola già nei ricettari dati alle stampe ad inizio ‘500, mentre le zone maggiormente interessate dall’utilizzo di questa salsa erano, storicamente, il Fiorentino ed il Senese. I piatti protagonisti risultavano essere, in massima parte, gli umidi di cacciagione, lepre o cinghiale, ai quali, a metà cottura, veniva aggiunta (reggetevi!) la seguente salsa: una base di cioccolato fuso nel burro, dei cavallucci e panforte tritati, una spolverata di noci sbriciolate, uvetta sultanina e pinoli. Il tutto veniva fatto cuocere brevemente nell’aceto per poi essere versato sulla pietanza quasi a fine cottura. Insomma: contra

1600. I pescatori nel Golfo di Biscaglia: il baccalà

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Il baccalà è il merluzzo nordico (Gadus morrhua), aperto, eviscerato e messo sotto sale per essere conservato. Facilmente reperibile in commercio, lo troviamo "a filettoni", cioè senza lische, oppure intero con le lische. L'origine etimologica è assai complessa e studiata; la parola "baccalà" deriva dallo spagnolo "bacalao" che a sua volta possiede marcate reminiscenze fiamminghe: "bakeljauw" significava letteralmente "bastone di pesce". Ci troviamo agli inizi del '600. I pescatori che partivano dalle coste del Golfo di Guascogna per dare la caccia principalmente alle balene, si accorsero che, per conservare agilmente il cetaceo durante le lunghe ed estenuanti giornate di pesca, era funzionale coprirlo con abbondante sale, che poteva così preservare la salubrità del prezioso pescato. La tecnica fu adoperata anche per il merluzzo. I norvegesi adottarono questa tecnica di conservazione solo successivamente, tanto che, nel tardo

Gamberi allo zafferano ed arancia su crema di fagioli neri

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A metà febbraio ho avuto la fortuna di visitare gran parte dell'Umbria per circa una settima na, ancora totalmente ignaro delle problematiche che sarebbero sorte di lì a poco. Questa regione ci regala storia, cultura e gastronomia all'ennesima potenza . Ho ancora scolpite negli occhi molte immagini suggestive: la magnificenza di Piazza dei Priori a Perugia, la pittoresca Gubbio, gli splendidi luoghi rinati dal terremoto del 1997, Foligno, Nocera Umbra e Gualdo Tadino, l'affascinante spello con le sue viuzze, Spoleto e la perfetta acustica di Piazza Duomo, sede del celebre Festival, lo scrosciare poderoso e violento delle cascate delle Marmore subito dopo l'apertura delle paratie, Orvieto (tutta bellissima, un'insolita scoperta) e Todi, città che ha dato i natali a Jacopone. E poi c'è la ferita non ancora rimarginata, l'ultimo evento sismico che ha sconvolto e piegato queste terre: Norcia, Cascia e Castelluccio di Norcia, quest'ultimo paese sito prop

Cucina e cinema: 7 spunti

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Fame o convivialità, opulenza o povertà, sofferenza o gioia, svago o professione: la società si rispecchia nelle tradizioni gastronomiche. Che se ne parli direttamente o solamente con dei timidi accenni, il binomio vincente cucina-cinema è oramai entrato a pieno titolo nella cultura di massa ed è sempre stato fortemente frequentato da numerosi registi di tutto il mondo. Ecco 7 titoli che rappresentano al meglio questo rapporto. 1. MISERIA E NOBILTA' (1954), regia di Mario Mattioli La pellicola non è espressamente dedicata alla cucina, ma i temi della "fame", del desiderio, dell'aspirare ad una vita meno grama, aleggiano abbondantemente in tutto il film. Famosa è la scena in cui Totò, venduto il cappotto al monte dei pegni, detta la lista della spesa in base ai soldi ricavati: "mozzarella, la premi con le dita, se esce la goccia la compri, sennò desisti". Altra scena notissima, centrale del film: Totò- Felice Sciosciammocca e i familiari si avventano sulla

Nel Golfo dei Poeti: la mesciua spezzina

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Dietro la Liguria dei cartelloni pubblicitari, dietro la Riviera dei grandi alberghi, delle case da gioco, del turismo internazionale, si estende, dimenticata e sconosciuta, la Liguria dei contadini. (Italo Calvino)   Cannellini, ceci e farro: la semplicità fatta ricetta. Il porto di La Spezia, inserito nel caratteristico Golfo dei Poeti, è oggi uno dei centri nevralgici per lo smistamento delle merci, centrale non solo per le attività economiche della Liguria ma fondamentale anche per tutto il comparto nazionale. Le sue banchine vedono nascere, presumibilmente nel XIV secolo, questa tipica ricetta della tradizione povera ligure, che significa “mescolanza”, “miscuglio”: pochi ingredienti per un risultato assai superlativo! Immaginatevi le mogli dei portuali ad attendere, frementi, le imbarcazioni cariche di provviste varie in arrivo ed in partenza dal porto; durante le operazioni di sbarco ed imbarco era uso raccattare ciò che fuoriusciva dalle fessure delle balle di gran

#tartetatin

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#dolce #mela #lampone #mora #vaniglia.

Cogli l'attimo! La ciliegia al suo top

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Due mesi e mezzo o poco più, sua maestà la ciliegia. Nel periodo compreso tra la tarda primavera e l'estate, prima che il solleone domini l'intero italico Stivale, è d'uopo essere assai scaltri: alcune ricette, fattibili in questo periodo, possono essere cucinate esclusivamente in un risicato lasso di tempo; la sublime garmugia lucchese, già esposta qui, per esempio, delizia i nostri palati ahimè per poco, a causa della brevissima reperibilità delle verdure fresche in uso. Come ho già avuto modo di sottolineare in altri post, sono sempre stato marcatamente portato per le contaminazioni di stili, per i contrasti di sapori; segnatamente adoro l'utilizzo che si può fare della frutta, sia d'inverno che d'estate, accostandola ai vari tipi di carne. Sono mie le lunghe o lunghissime cotture, il fuoco bassissimo, gli aromi che si sprigionano dalla pentola dopo ore e ore di spasmodica attesa. Fine maggio: una varietà di ciliegia particolarmente nota ed utilizzat

Treschietto, la cipolla e la sua barbotta

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Alla fine mi ritrovo spesso lì, nell'alta Toscana. Sarà perchè la Lunigiana in particolare è terra così caratteristica: gli spunti gastronomici sono fortemente interessanti, a maggior ragione se le origini delle ricette si intrecciano con le varie vicende storiche dei luoghi, così legate alla vita contadina di un tempo. Avendo già sublimato i miei desideri con l'arbadela e la scarpaccia, oggi voglio imbattermi in un'altra prelibatezza dell'alta Toscana. Se dici Pontremoli e Lunigiana dici torta d'erbi (come dire Livorno e cacciucco), ma poi scopriamo anche molte altre leccornìe. A 18 km più a sud di Pontremoli possiamo visitare il pittoresco paesello collinare di Treschietto, frazione di Bagnone sita a 444 metri. L'abitato ci regala una primizia assoluta, la cipolla omonima appunto, che ha l'onore di possedere un suo specifico Comitato per la Valorizzazione. Questo tipo di ortaggio è caratteristico di questa particolare zona ed in più ha avuto la fo

Tra Tuscia e Maremma: la parca acquacotta dei bovari

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Chi non conosce la celebre canzone nata due secoli fa durante la bonifica del maremmano? Verso metà ‘800 lasciavamo le case ed i propri affetti per andare a lavorare tra le acque malsane di quel maledetto lembo di terra, la paludosa Maremma, che tante vittime aveva mietuto a causa della malaria. Ecco, il mood deve essere, a mio avviso, anche questo: comprendere in che contesto storico, culturale e sociale possa essere nata una ricetta, con le sue possibili varianti zonali. I grandi piatti tradizionali della Toscana del sud, in particolare, sono figli del sudore, della fatica, del “che metto oggi nella zuppa?”, della ciclicità delle stagioni e, in ultimo, della solidarietà gastronomica: quando la povertà era soverchiante ed interessava ampie fasce di popolazione, era uso “socializzare” tra le famiglie passandosi il prezioso “conditoio”, celebre osso di prosciutto che viaggiava di casa in casa, di pentola in pentola, andando ad insaporire le minestre; vista la frequente man

Cocotte o terrina?

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Chi non la ha in casa, soprattutto nella sua versione più gettonata, la cocottina? La differenza tra l'italianissima terrina e la francese cocotte non è oggettivamente assai marcata, se non per la forma di quest'ultima che generalmente risulta tondeggiante, mentre le cugine italiane possono essere anche rettangolari ed assai più grandi.  La cocotte è sostanzialmente una casseruola ed è utilizzata nelle cotture che prevedono l'uso del forno; è provvista di coperchio, anche se sovente non viene adoperato. I materiali con cui è fatta sono la porcellana, la ghisa o la terracotta temperata.  Le cocotte più antiche, andando a ritroso nel tempo, erano unicamente di terracotta. Ad oggi questo utensile detiene il primato di essere il contenitore più antico per la cottura, originariamente impiegato per svariate ricette, dai bolliti di carne alla semplice polenta.  Una normale cocotte può servire fino a 6 persone, mentre la cocottina, sua sorella minore, sforna porzioni i

Sotto le Apuane: la marocca o focaccia seravezzina

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Generalmente non mi addentro di buon grado nella panificazione o affini, poiché, arte per eccellenza, richiede cure e attenzioni che devo ancora elaborare con un certo criterio. Avendo però della farina di mais avanzata e delle olive nere denocciolate, ho tentato un percorso assai poco impegnativo, estraneo ai tempi delle più comuni lievitazioni. La marocca o focaccia seravezzina prevede infatti un impasto misto di farina 00 e farina gialla ed un riposo assai veloce, si e no trenta minuti. Questa focaccia è tipica di Seravezza, pittoresco paesello posto appena sotto le magnificenti Alpi Apuane, nelle vicinanze delle rinomate Forte dei Marmi e Pietrasanta, fiori all'occhiello del turismo estivo costiero lucchese. Di forma circolare, la marocca deve essere alta circa tre centimetri e risultare sicuramente un pochino meno soffice, vista la preparazione di farine miste. L'aggiunta di lardo e rosmarino regala alla nostra cucina un profumo decisamente inebriante appena sfornata l

#lovepasta

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#cinquecereali #cilieginogiallo #noccioladiGiffoni  #champignon #yogurt #limone

Quando il colore è #cool...

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Solanum lycopersicum è il nome botanico della pianta del pomodoro. Appartiene alla famiglia delle Solanaceae, noi consumiamo appunto la sua bacca : questo è un aspetto assai poco conosciuto dalla moltitudine. Tralasciando in toto la descrizione della sua antichissima origine, che lo vede protagonista sin nel lontano XII secolo nelle valli peruviane abitate dagli Incas, oggi ci addentriamo velocemente nella descrizione di una simpatica variante, il giallo, al quale gli hashtags #cool, #mood e #trendfood si abbinano assai piacevolmente. I primi pomodori conosciuti ed utilizzati in Europa nel XVI secolo erano proprio di questo colore, ecco quindi la parola "pomo d'oro", venivano però adoperati unicamente come decorazione. Oggi il datterino e il ciliegino giallo sono purtroppo difficilmente reperibili nel circuito della grande distribuzione. Carichi di minerali e di antiossidanti, marcatamente più dolci dei loro cugini rossi, sono dotati di un grado di acidità assai bass

Prima della soupe à l'oignon, reminiscenze toscane e non: la carabaccia

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E' risaputo come Caterina de' Medici, divenuta consorte di Enrico II nel 1533 e portando nella terra d'oltralpe molta della variopinta tradizione gastronomica fiorentina, si facesse sovente preparare la suope à l'oignon, uno dei suoi piatti preferiti a corte. Le prime informazioni bibliografiche su questa zuppa risalgono a qualche anno prima, segnatamente le troviamo nel libro Banchetti, compositione di vivande et apparecchio generale , scritto di tutto pugno dal noto scalco ferrarese Cristoforo Messisbugo. In questa sua ricetta, nominata carabazada de magro , i quantitativi di mandorla sono però decisamente eccessivi per il mood contemporaneo, per come può essere interpretato oggigiorno il piatto in relazione ai gusti correnti; il versus , comunque, cioè il contrasto evidente tra dolce e salato, deve in ogni modo permanere. Etimologicamente sembra che il nome carabaccia possegga delle origini grece (figuriamoci!), dove karabos significava barca a forma di guscio

L'arte di creare il banchetto: lo scalco ferrarese Cristoforo di Messisbugo

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Di Cristoforo di Messisbugo non si hanno notizie esaurienti, sappiamo che era ferrarese, di origini familiari belghe e morì nella sua città intorno al 1548. Il padre Antonio era persona assai introdotta negli ambienti frequentati dai duchi di Ferrara, sicché Cristoforo ebbe modo di farsi eleggere Provveditore sotto Ercole II d'Este, duca di Ferrara, Modena e Reggio e successivamente venne addirittura nominato Conte Palatino da Carlo V d'Asburgo, intorno al 1533. Ebbe l'opportunità di coltivare assidui rapporti anche con i Gonzaga, divenendo consigliere personale della duchessa Isabella d'Este. Il matrimonio con la nobildonna Agnese di Giovanni Gioccoli fu molto proficuo: alla corte estense controllava e amministrava gli importanti fondi. Ma il ruolo maggiormente prestigioso che ricoprì fu quello di scalco , in camerata di cucina il più alto grado a cui si potesse ambire negli ambienti aristocratici del tempo: il sovrintendente, in pratica, il contemporaneo general

#verdeintenso

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#pestoallagenovese #basilico #pinoli #aglio #olio #formaggiostagionato

Accia, accia, accia, la scarpaccia di Camaiore!

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Certo, con il nome che si ritrova porterebbe ovviamente a pensare ad un piatto miseramente insipido. Ma basta dare un primo morso alla scarpaccia che subito i nostri palati saranno piacevolmente deliziati! Nuovamente, bisogna tornare indietro nei secoli per indagare l'etimologia del nome e come è nata la ricetta. Le versioni sono sostanzialmente tre: la più conosciuta la mette in relazione al fatto che, essendo un piatto poverissimo, la somiglianza con una "scarpa vecchia" ci sta tutta; un'altra versione la assimila alla forma di una suola, sottile e schiacciata come appunto deve essere la scarpaccia mentre cuoce in forno. Esiste anche un'ultima variante, dubbia, che la vede perdersi nella leggenda legata alla vita di Castruccio Castracani, condottiero e Signore di Lucca dal 1320 al 1328: trovandosi a percorrere la valle del Serchio ed essendo a corto di viveri per il suo esercito, chiese ai contadini della zona di Colognora di potersi rifornire di cibarie; si

Il "conditoio" toscano, la solidarietà gastronomica di inizio secolo

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Minestre e minestroni, di varia natura, dai vari ingredienti, accompagnavano sovente la ciclicità delle stagioni nei villaggi dei nostri territori interni. Gli ingredienti mutavano a seconda di ciò che si poteva reperire al momento: farina gialla, verdure e pane, principalmente. Le carni erano poco adoperate in proporzione agli altri elementi, sicché, per strutturare di sapore le cotture, era uso mettere nel pentolone un osso di prosciutto. Non era facile reperirlo, vista l'estrema povertà. Scattava così una sorta di "solidarietà gastronomica" che vedeva questo osso passare di casa in casa, di pentola in pentola. Il conditoio poteva così facilmente insaporire una minestra che risultava sciapa. Renato Fucini docet: narra, in questi termini, dei lavoratori maremmani che partivano dalle proprie abitazioni per andare a bonificare le paludi maremmane: " ...quelli di origine toscana si distinguevano facilmente dagli altri perché il capofamiglia portava a tracolla, le

Lo zuccotto, fiorentinità all'ennesima potenza

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Bisogna tornare indietro di molto tempo, verso la metà del 1500. Con estrema probabilità, Bernardo Buontalenti, architetto e sovrintendente della famiglia Medici nonchè abilissimo cuoco, inventò questo meraviglioso semifreddo, uno dei primissimi della storia. L'appellativo originario di questo dolce era "Elmo di Caterina" e venne presentato per la prima volta in un banchetto di festa in onore di Caterina de' Medici; sembra che i primi zuccotti fossero formati utilizzando per l'appunto dei piccoli elmi, al tempo in dotazione all'esercito della fanteria fiorentina; il dolce poteva essere conservato agevolmente nelle ghiacciaie. La ricetta originale, tra l'altro, prevedeva delle farce totalmente differenti da quelle in uso oggigiorno; si adoperava la ricotta, alle volte aggiungendo addirittura del miele, fichi secchi, mandorle e canditi. Un'altra versione collega lo zuccotto a "zucca", cioè testa dura, o "zucchetto" in riferimento

L'acquacotta: il cuore della Maremma e non solo

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"...Affetti tre cipolle gaetane assai fini,  carota ed un bietolone, una costa di sedano in padella. Versi oglio d'uliva a profusione. ...Ci metta mezzo chilo di pelati e abbassi il fuoco, doppo aggiunga il brodo ben caldo e quando so' un po' consumati, butti dentro sei ovi interi, guardi che il torlo non doventi sodo. Metta nelle scodelle pane raffermo di tre giorni versi la minestra e sopra gratti cacio pecorino."   (E. Graziani, Aggiungi un piatto a tavola) Contadini, boscaioli, carbonai e pastori. L'acquacotta alla maremmana, l'acquacotta dei bovari, l'acquacotta casentinese e l'acquacotta di Moggiona. Sebbene la parola "acqua" sia centrale, in realtà questo elemento è secondario, viste le grandi varietà di odori ed ingredienti profusi. Tra Grosseto, Siena ed Arezzo, l'origine di questo piatto si perde nella storia. Qual è la ricetta originale, quale zona della Toscana è stata la prima ad inventarla? A questa doman

Il migliaccio di Càsoli, i sapori perduti

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In Lucchesia, nel territorio di Bagni di Lucca, salendo per la pittoresca Val di Lima che porta alla rinomata stazione sciistica di Abetone, troviamo un paesello arroccato su una collina, a 500 metri, le cui tracce si perdono addirittura nel lontano Paleolitico Medio: siamo a Càsoli, uno dei borghi più antichi di questa fetta di Toscana. Bisogna tornare indietro nel tempo, allo scorso secolo, per scoprire una ricetta semplice e buona ma densa di storia e di vissuti: il migliaccio (o miglieccio), piatto assai rustico. Pensate alla povertà dell'entroterra di inzio '900, al doversi adattare alla meglio, sempre. Immaginate di essere in un paesello perso in mezzo ai monti, il territorio riscaldato dal primo sole del mattino dopo una notte di buriana, la nebbia, il profumo e lo scalpitìo della legna che arde nei camini, il fumo che si perde nei vicoli, il ciarlare di vecchie e donne nelle anguste viuzze. Se il giorno prima avanzava un poco di minestrone, l'indomani si riutili

Baci di dama destrutturati: vaniglia e ganache si sposano!

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La colazione, quella bella, semplice, veloce e gustosa. Ricetta talmente banale da non necessitare di alcun tutorial. I noti baci di dama, piemontesi di Tortona, sono così chiamati perché le due calotte assomigliano a due labbra intente a baciarsi. Stavolta, però, avremo un poco meno... amore: adoperando il classico impasto, andremo a creare, con i formini che abbiamo in casa, dei gustosissimi biscottini secchi. Imbelliamo con una punta di ganache al cioccolato versata su ogni biscotto dove porremo anche un trito grezzo di nocciole. Semplice, una colazione di gran classe! PER I BACI DI DAMA, per 6: - 150 gr. di cioccolato fondente - 125 gr. di farina bianca 00 - 125 gr. di scorza d'arancia candita - 125 gr. di zucchero - 125 gr. di nocciole - 125 gr. di burro - nocciole tritate - 150 gr. di panna liquida fresca - un baccello di vaniglia Porre in acqua bollente i 125 gr. di nocciole, scolarle e successivamente spellarle; tritarle quindi assai finemente e parimenti anc

La fricassea, carpe diem dal fascino letale

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Fricassée o fricassea? Nel sempiterno dibattito di chi tra i nostri cugini d’oltralpe e noi italiani cucini meglio la propria tradizione gastronomica, l’etimologia di questa notissima parola è materia di studi e di dibattiti: si perde altresì nella storia delle vaste tradizioni tedesche, dove l’antico “froeh” significava “avido”, forse perché tale vivanda era atta ad eccitare l’avidità e l’appetito (strano, per il popolo tedesco, così poco incline ad esternare certi sentimenti…). Esiste addirittura una fricassea greca fatta con maiale e contenente lattuga o erbe selvatiche. I nostri cugini francesi, invece, utilizzando la parola “fricasser”, si limitano semplicemente al più neutro “preparare la carne a pezzetti ed intingerla in una salsa”, generica. Anche  la nostra versione non è ricetta nuova (Artusi docet) e non si deve confondere col piemontese “fricandò”, pietanza che vede l’abbinamento di carne e verdure in lunghissima cottura. Fricassea è un carpe diem dal fascino letale: la