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L'abito fa il... cuoco!

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Nero e bianco sono oggigiorno il fulcro, un codice cromatico sul quale si impernia l'uniforme di cuochi, capisala e camerieri. Ma non è stato sempre così. Testimonianze bibliografiche ed icononografiche si sprecano, testimoniano un utilizzo di fogge e colori, i più vari e sgargianti, prima del XIX secolo. Chi esercitava potere, similarmente al proprio principe, lo scalco, il general manger della cucina, vestiva in maniera più ricercata ed elegante, il nero era alle volte centrale. Mentre, tra i fornelli, cuochi e sottocuochi, optavano per più compassati grembiuli bianchi, maniche grinzosamente rimboccate e berretti; i garzoni ed i lavapiatti, umili tra gli umili, spesso lavoravano addirittura a torso nudo. Lo scalco portava con sé ricercatezza e cura anche nell'apparire, non si concentrava unicamente sulla qualità della preparazione dei piatti e dei servizi offerti: "Deve lo scalco vestir politicamente ornatamente spesso di negro, da omo riposato e grave, conforme l'on

Le roschette e la Livorno ebraica

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 "L'antichissima Gente Israelita, cui non fa la Fortuna acerbo il viso, alla Cuccagna sua Livorno invita..." Cosmopolita e multietnica come poche, Livorno accolse a braccia aperte gli ebrei provenienti dalla Spagna e sfuggiti ai roghi dell'Inquisizione. Liberi come l'aria, ricevettero numerosi privilegi (Le Leggi Livornine, circa cento anni dopo la promulgazione dell'Editto di Granada, post precedenti) ed in poco tempo divennero parte integrante del reticolato socio-culturale cittadino. I doni portatici, ovviamente, si riflettereno grandemente anche sugli aspetti più prettamente gastronomici. Roschette: "rosquetas", "rosquillas". Il nome ci fa capire quanto questo prodotto, popolarissimo nella città labronica, sia collegato alla cultura ebraico-spagnola ospitata: furono proprio loro ad introdurle in città. Guido Bedarida, noto studioso ebreo anconetano cresciuto a Livorno, in uno dei suoi livornesissimi sonetti, fa dire a Giacobbe Attias: &

Il bordatino alla livornese, vanto labronico

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Fagioli rossi, cavolo nero e farina gialla. Il bordatino alla livornese, gloria gastronomica labronica per eccellenza, è testimonianza autorevole del vissuto popolare cittadino; l'origine della ricetta è da ricercare nel mare magnum delle tradizioni relative alla cucina povera, verace come poche. Alcuni lo eleggono a primissimo simbolo culturale della città, ancor più del magnificente cugino cacciucco. In cucina avanzava sempre qualcosa dal giorno prima, sicché, cuocendo grandi quantità di fagioli rossi, alle volte si poteva riutilizzare il brodo di cottura nei giorni a seguire; in una pentola di terracotta si preparava una polentina di farina gialla, assai liquida, rimestando bene bene; a quest'ultima veniva aggiunto appunto il liquido dei legumi, denso. Nella "melma vischiosa" che si veniva a creare le due entità dialogavano, il brodo scuro tracciava delle righe nella farina gialla, ecco qui il richiamo al "bordatino": ci si riferiva ad un tessuto di coton

#solofoto

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 #risotto #carnaroli #verza #zucca #speck #zafferano #taleggio

Torta al cavolo verza, zucca, ricotta, champignon e paprika

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Gli svuotafrigo di classe (che comunche non terminano mai). Dosi rigorosamente ad occhio, a seconda di gusti e preferenze! TORTA AL CAVOLO VERZA, ZUCCA, RICOTTA, CHAMPIGNON E PAPRIKA. - Pasta sfoglia rettangolare - Della verza - Della zucca - Mezza cipolla bionda - Mezzo spicchio d'aglio - 250/280 gr. di ricotta misa - Abbondante Parmigiano grattato - 3 uova medie - 2 champignon - Dei capperi sottosale - Dei pinoli - Delle olive nere denocciolate - Della paprika in polvere - Sale, pepe ed olio evo qb. Preparare un trito assai fine di mezza cipolla bionda e mezzo aglio, imbiondirlo in una ampia padella con olio evo, quindi porre la verza tagliata a striscioline (eliminando la vena centrale) e la zucca a tocchettini; portare a stufatura aiutandosi con dell'acqua, salare e pepare. In una ciotola mescolare la ricotta, il Parmigiano e le uova, quindi amalgamare con i funghi puliti e tagliuzzati, dei capperi sottosale passati precedentemente sotto l'acqua corrente, dei pinoli, de

Involtini di verza: massima resa, minima spesa!

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Parte ufficialmente la stagione dei cavoli e affini, pure la "stagione del cavolo", visti pioggia e vento. In orto-frutta troneggiano i cugini: broccoli, cavolfiori, il romanesco, il violetto, con il quale feci un vialone nano con noci Pecan e taleggio da leccarsi letteralmente i baffi, la verza. E poi c'e lui, re dei re, almeno per me, l'adorato cavolo nero, protagonista del mio amato bordatino alla livornese. Insomma, se anche la ribollita chiama, noialtri risponderemo a breve. Zuppe e minestre: apriti cielo! Nel frattempo mi sono perso in un classico, gli involtini di verza, che magari possono pure fungere da aperitivino se farcia e consistenza risultano un poco meno impegnative. I cultivar sono assai numerosi, specifici di determinati territori, sicché la reperibilità delle varie tipologie di verza non è uniforme su tutto il territorio nazionale, non è ovviamente garantita: il Violaceo di Verona, il Vetus, il Monarch, il S. Martino d'Asti, il Montalto Dora, Wi

Non solo scalchi: il potere dei trincianti a corte

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 «Una festa magnifica, tutta ombra, sogno, chimera, finzione, metafora e allegoria.» (Cristoforo di Messisbugo, Banchetti, Compositioni di vivande et apparechio generale, Ferrara, 1549) Gli scalchi rinascimentali, general manager, godevano di enorme prestigio a corte per quanto concerneva la realizzazione ed organizzazione dei magnificenti banchetti, ma non solo: il loro "potere" era ampio tanto quanto quello esercitato dal nobile per il quale lavoravano, proprio perché era in primis a tavola, con l'allestimento degli sfarzosissimi imbandigioni e servizi (di cucina e di credenza), che si concretizzava e si sublimava la grandezza del nobile di turno.  La scalcheria era un "bel servire", un'arte a tutto tondo che comprendeva anche interventi di musicisti, mimi e danzatori e che trovò massimo compimento nei servigi di Cristoforo di Messisbugo alla corte estense di inizio '500, sotto Alfonso I ed Ercole II.  Ancor più dell'altro personaggio simbolo di qu

Pomodori col Riso

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 Dialogo di Giorgia più o meno piccola, sua mamma Peppina e sua zia Lina: G: Mbè ssu!!! E fammijiiii!!! P: Ma mo m'ada fa appiccià i furnu co' 'sso callo?!?!?! G: Ma so' boni!! A me me piacianu!!! P: E vabbè! Tocca! Va da zia Lina, sta a fa i pummidori sott'a casa de nonna, diji se ti ji fa mette sott'aju foco colla tiella. (Giorgia vola giù dalle scale di casa e poi ancora giù per le scale del paese fino a raggiungere casa di sua nonna, in fondo al paese, dove trova zia Lina) P: ZIA LIIIIIIII!!!!! Ha 'ittu mamma se cci ji fa mette 'a tiella eji pummidori coju risu sott'alla racia!!! L: Ha da fa' i pummidori coju risu?!?! Allora vè qua, tè! Pija 'ssa canestra 'e pummidori, di' a mammota che 'i pummidori ci ji do io, ma che mi j'ha da fa' pure a me e ji mettemu tutti ecco! Oh, però me ll'ha da fa' resapì si ji fa! (Giorgia, con il canestro di pomodori e la teglia di zia Lina, risale, molto meno velocemente dell'

Il tesoro delle Alpi Apuane: Colonnata, il suo lardo e l'autunnale struedel

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Mi trovo spesso a terminare gli avanzi del frigo dopo aver creato delle ricette un poco più strutturate. Immancabili loschi figuri, si interrogano arcigni su come potranno essere utilizzati. Ho approfittato di un autunno oramai entrato prepotentemente nel vivo per una ricettina cool adatta proprio ai primi freddi di inizio stagione. Il lardo è la parte grassa del maiale, quella che si trova attaccata alla cotenna; in genere si produce dalla spalla o dal dorso. Se invece utilizzassimo le parti interne, maggiormente grasse, produrremmo lo strutto. Un processo di salatura e stagionatura di diversi mesi porta alla realizzazione del lardo e, nel caso venga affumicato, prenderà il nome di lardone. Le tradizioni contadine di un tempo lo vedevano protagonista dei battuti (oggigiorno questo impiego è accantonato per i più salutari olio e burro), nonchè soventemente adoperato, utilizzando il mitico "lardatoio", per "vestire" la carne prima delle lunghe cotture. 532 metri, Col

Basso Medioevo: toccata e fuga su spezie e torte

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Medioevo. Dai trattati gastronomici (il trecentesco Liber de coquina napoletano in primis) si evince che il gusto era un vero e proprio stile di vita, assai diverso dal sentire contemporaneo, delineava ranghi sociali fortemente distinti tra loro.  Tecniche ed usi alimentari in voga tra 1300 e 1400 oggi sarebbero assolutamente fuori dalla logica degli usi correnti, fuori dalla storia, diremmo.  Due aspetti fra i molti che potremmo esaminare. Primo: i ricchi cortigiani, con le spezie, ci facevano letteralmente "il bagno"; un utilizzo, come dire, quintuplicato dei nostri olio o burro. La spezia era simbolo di vera distinzione sociale, come la disponibilità di carne e cacciagione in particolare, i poveri andavano di frutta e verdura.  Per ogni tipologia di ricetta si abbondava grandemente con vari mix di spezie; tante, debordanti e sempre presenti tanto che, evidentemente, il nostro concetto odierno, per esempio, di "imbellire" un brasato di carne per esaltarne il sapor

Identità e scambi culturali: le tomaselle lunigianesi

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Mari tempestosi, abbondanti piogge e venti impetuosi. In questo prepotente inizio d'autunno, che ci ha colti assai impreparati, mi è particolarmente proficuo approfondire gli aspetti dell'antropologia alimentare, intesa come elemento storico e socio-culturale di territori ed aree geografiche specifiche; aspetti che assumono però una impronta fortemente "trasversale" a tutta la penisola italiana. Identità e scambio: questi sono i concetti cardine delle opere di Massimo Montanari, saggista, docente di Storia e Cultura dell'Alimentazione presso l'Università di Bologna. Ogni regione italiana possiede certamente una sua specificità zonale per quanto concerne la tradizione gastronomica, ma il valore dell'identita territoriale è grandemente accompagnato dal concetto di "scambio", ricchezza aggiunta, nella misura in cui certi ingredienti, certe preparazioni, certe modalità di cottura, certi saperi e "vissuti" (unitamente alle vicende storiche)

Ecco l'autunno!

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 "L'autunno è miglioramento eterno. È maturazione ed è colore, è la stagione della maturità, ma è anche larghezza, profondità e distanza." HB #tortasalata #verdure #salsiccia #Gouda #olivenere #capperi

Finto Carpaccio

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Se ti avanza quasi mezza fiorentina già cotta dal pranzo di ieri,  che fai? La riscaldi? Meglio di no... La tiri fuori dal frigo per tempo e la fai a strisce sottili.  Più prendi quel che è rimasto dei cespi verde e rosso dell'insalata gentilina, quel mazzetto di rucola che ti ha regalato il fruttivendolo del mercato,  quei 4 o 5 pomodori Pachino rimasti in frigo... uh,  guarda! C'è anche un pezzetto di parmigiano!!!! Mi pare che un limone fosse rimasto... si,  eccolo! Un giro d'olio,  un pizzico di sale,  Et voilà!  Mesdames et messieurs,  il Finto carpaccio è pronto!

Pasta, 1300 e oltre: prodromi di un'epoca

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Pasta secca, pasta fresca. In epoca romana la "lagana", la contemporanea lasagna, era una sfoglia assai larga, particolarmente popolare e diffusa, tagliata grezzamente e cotta in forno assieme al suo condimento d'accompagnamento. Un primo accenno sull'utilizzo della pasta lo abbiamo proprio in questo periodo. Ma è soltanto intorno al 1300 che si evince un cambio di costumi: lo scopriamo grazie al napoletano "Liber de coquina" (pietra miliare dei ricettari, primo manuale che ci narra per filo e per segno come cuocere le lasagne); in questo periodo del Medioevo si definirà una caratterizzazione della pasta più vicina agli usi correnti: ripiena, varietà di forme, lunga, larga, corta, forata! Soprattutto la consuetudine di bollirla in acqua, nel brodo o nel latte, rappresenterà la definitiva chiave di volta.  Nello specifico si desume che furono gli Arabi, poco prima di questo periodo, a diffondere l'uso delle paste lunghe: i "Tacuina san

Nobilitare la zucchina: il buglione

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Diciamocelo francamente: cosa c'è di più ovvio e scontato della zucchina, magari lessata in acqua? Addio! Evidentemente a Vicchio di Mugello, molto tempo fa, trovarono il modo di nobilitare questo tipo di verdura dal gusto non particolarmente incisivo, tanto da farla diventare una gloria paesana. La ricetta è caratteristica di questo paesello della Toscana, ma se ci spostiamo in alcune zone del Fiorentino più vicine alla valli interne troviamo delle leggere varianti in ingredienti e preparazione, tanto che altrove le chiamano semplicemente "zucchine al sugo". Buglione sta per "alla rinfusa, sensa senso". Ciò deriva dall'aspetto assai particolare che prende il piatto una volta pronto: sembra di aver gettato lì in padella due o tre cosette, una botta di fiamma e via. Ed invece scopri, come è da tradizione nella più verace cultura gastronomica contadina, che puoi fare un signor piatto anche con nulla, o quasi. Eravamo poveri in canna, ci si adattava alla ciclic

Le élite e le cucine popolari del XIX secolo: prima della democratizzazione

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Il complicato processo di borghesizzazione della cucina, il dare ampia rappresentanza a quella fascia "intermedia" maggioritaria, che si esprimerà ancor più in primo luogo con la "Scienza in cucina" di Artusi del 1891, primissimo tentativo per una svolta più popolare, nasce da una netta contrapposizione tra "il povero" ed "il ricco", mood di quasi tutto il XIX secolo. Fino al termine del 1800 vi era infatti una netta distinzione tra la cucina "alta", aristocratica e nobile, e quella povera, rurale ed urbana, figlia delle situazioni di emergenza (guerre, pestilenze e carestie). Un iniziale, flebile ed isolato impulso verso una cucina un poco meno elitaria e maggiormente "intermedia" si ebbe, guarda caso, proprio a corte: alla reggia ducale parmense, tra il terzo ed il quarto decennio dell'800, assistemmo ad una progressiva modifica dei consumi alimentari, traghettati, consapevolmente o meno, verso una borghesizzazione piutt

Il mood settembrino della zucca: la vellutata

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"Embhè? Che vuoi? Che si fa?" Avanzi del frigo Citazione doverosa, poichè è questo che spesso ci "dicono" gli avanzi, pullulando sovente nel nostro frigo. Con fare arcigno, accigliati e scostanti, si interrogano su come potranno essere utilizzati. E noi si parte dal presupposto che, in cucina, non si deve buttare via mai nulla, è un imperativo morale: è possibile realizzare un signor piatto anche con le ultime rimanenze. Nel processo di rivalutazione di alcune pietanze ho tentato la sorte con la zucca, che devo dire mi restava assai antipatica ed impegnativa. Fino ad ora. Sperimentata pochi giorni fa la mitica (e poetica per quanto concerne la resa al palato) Trusca di Casoli, tortino di verdure cotte in forno, scrigno di inaspettato sapore, mi sono imbattuto nella classica vellutata, cercando di bilanciare il gusto certamente entrante della zucca. Settembre. Si palesano dei timidi assaggi, flebili accenni di una stagione che bussa alle porte: il ritrovato ed intens

La trusca di Casoli, eterno splendore di semplicità

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In questi mesi di studio e di ricerca continui che mi hanno portato a creare il sito, inteso principalmente come potpourri di spunti che possono tornare utili, mi sono sovente impegnato nello scandagliare quella magnificente realtà che è la Lunigiana, terra di mezzo, regione storica sita tra alta Toscana e Spezzino, portatrice e rivelatrice di grandi tradizioni gastronomiche che spesso si intrecciano con le vicende più prettamente storiche di tali territori. Una meraviglia poter scoprire autentiche chicche. Ed ecco i matuffi, la mesciua, la barbotta, la marocca, la scarpaccia, il migliaccio, l'arbadela, la garmugia, la torta coi becchi e la baciocca. Settembre. Si palesano dei timidi assaggi, flebili accenni di una stagione che bussa alle porte: il ritrovato ed intenso fresco mattutino, i primi temporali prolungati, i cieli tersissimi liberi da afa opprimente accompagnano anche un cambio assai sostanzioso per quanto concerne la stagionalità di frutta e verdura. Giallo intenso, polp

Il merluzzo alla livornese ed il fascinoso Signor Estragone

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"Salve! Mi chiamo Artemisia dracunculus , appartengo alla famiglia delle Asteracee, ma siccome tutti si scordano sempre questo difficile appellattivo, tranne gli studiosi di botanica, quando siete in cucina fatemi un fischio veloce veloce ed arrivo subito: "Estragone!". Se potesse parlare, il Signor Estragone, meglio conosciuto come dragoncello, probabilmente si rivolgerebbe a noi in questi termini molto friendly: sa di piacere, quindi, fascinoso com'è, ci tenterà in mille modi cercando di carpire il nostro interesse tra i fornelli. Le credenze popolari nordiche (Russia e Siberia) gli hanno attribuito questo nome tutto particolare: è dibattuta la storia, non si sa quanto vera, che questi popoli credessero fortemente nelle proprietà taumaturgiche del dragoncello per curarsi dai morsi dei serpenti velenosi. Qui in Italia, se ci va bene, possiamo trovare il Signor Estragone solo in alcune zone del Piemonte, cresce spontaneamente nei territori un pochino più freddi del n

Nella Strada del Vino: il castagnaccio di Castagneto Carducci e non solo

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"Un paese che da sempre si chiama Castagneto non può tollerare che uno sconosciuto Pilade da Lucca si vanti di essere il padre del castagnaccio, anche se garfagnino!" Luciano Bezzini.  Il primo freddo intenso, la ritrovata pioggia mi portano velocemente a interrogarmi su cosa sarà il mio autunno in cucina. Tra noi toscani ci si "piglia" un poco, tutti pronti a difendere il proprio campanile, la propria tradizione, anche le fierezze gastronomiche locali.  Se uno pensa al castag naccio toscano pensa alla fascinosa Garfagnana, ovviamente. Ebbene, anche Castagneto Carducci, a sud di Livorno, ha la sua versione, tanto fieramente sbandierata. Si hanno notizie di questo paese sin dal 754 D.C. ed è quindi ovvio che le colline intorno fossero ricoperte da fitte castagnete, lo desumiamo anche da diversi documenti storici. Il Benzini addirittura ci rivela che nel 1901 erano più di duemila i castagni censiti nella tenuta dei Della Gherardesca, meticolosamente nu

Insalata colorata di gamberi

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    Ingredienti: 12 gamberi freschissimi per ogni persona misticanza pomodorini datterini gialli e rossi olive nere snocciolatepa basilico olio, sale, succo di limone   Disponete un foglio di carta da forno su una placca e portate il forno a 220°. Nel frattempo, pulite i gamberi: togliere la testa, il guscio ed il filo nero sul dorso.  Disponete i gamberi puliti sulla placca uno accanto all'altro. Quando il forno sarà ben caldo e avrete sgusciato accuratamente tutti i gamberi, mettete la placca nel forno per non più di 3 minuti: i gamberi, se sono freschissimi devono scottarsi, non cuocere. Togliete la teglia dal forno, togliete la carta con sopra i gamberi poggiandola su un tagliere o un'altra suerficie perché raffreddino. Lavate la misticanza, le foglie di basilico e i datterini.  Questi ultimi, tagliateli a quarti.  Tagliate le olive a rondelle. In un'insalatiera, mescolate la misticanza con il basilico, i datterini e le olive e condite tutto con olio, sale e il succo

Gratin di patate, Tropea, Gouda, yogurt greco, timo e pepe verde

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GRATIN DI PATATE, TROPEA, GOUDA, YOGURT GRECO, TIMO E PEPE VERDE, per 3: - 600 gr. di patate a pasta gialla - 1 cipolla e 1\2 di Tropea - Del burro - Del timo - 350 gr. di yogurt greco - 150 gr. di Gouda - 1\3 di bicchiere di vino bianco - Del pepe verde in salamoia - Sale, pepe, olio evo qb Pulire le cipolle e tagliarle a rondelle non troppo fini, quindi stufarle in burro e olio fino a che si saranno ampiamente sfaldate; aggiungere dell'acqua alla bisogna. Con una mandolina ridurre finemente le patate mantenendo la buccia, porle in acqua acidulata con del limone. Grattugiare grossolanamente del Gouda, amalgamare del timo allo yogurt. Ungere con abbondante olio una pirofila da forno, stratificare 3 o 4 volte a seconda della grandezza di quest'ultima: patate accuratamente scolate (con i bordi leggermente sovrapposti), le cipolle stufate, il Gouda, lo yogurt al timo, salando e pepando ad ogni strato. Porre, nell'ultimo strato, del pepe verde in salamoia, versando il vino bian

La tavolozza è pronta!

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Falafel rivisitati. Mezzo pianeta… nel piatto!

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Presi dalla frenesia degli ultimi scampoli di ferie, a sguazzo tra le onde del mare o assaporando il fresco dei sentieri alpini, possiamo trovare del tempo per preparare una ricetta veloce veloce che... adoro; quintessènza della cultura mediorientale, fiera bandiera storico-gastronomica di mezzo mondo, il falafel ha spopolato anche tra noialtri occidentali europei. Io ho approfittato pure di uno svuotafrigo (visto che c'ero), permettendomi delle piccole varianti. Polpettine fritte così versatili che si prestano ampiamente anche ad imbellire un aperitivino serale di fine estate. Se addentiamo i falafel e chiudiamo gli occhi le "immagini" ci portano con prepotenza in mezzo al tumulto chiassoso dei mercatini del Medio Oriente, le strette viuzze profumate di spezie e strabordanti di sgargianti colori. Ceci, fagioli o fave: le varianti sono assai battute tra Giordania, Egitto, Siria, grandemente in Israele, Palestina e Libano. Quel che non deve mancare è la presenza generosa d

Fusilloni di Gragnano in dolceforte di cipolla di Tropea e zafferano

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FUSILLONI DI GRAGNANO IN DOLCEFORTE DI CIPOLLA DI TROPEA E ZAFFERANO, per 3: - Fusilloni di Gragnano, 300 gr. - 2 cipolle di Tropea - 1 cucchiaio e 1\2 di zucchero - 2 cucchiai di aceto di mele - Dell'uvetta sultanina - Dei pinoli - 1 bustina di zafferano - 1\2 arancia, scorza e succo - dei semi di coriandolo - olio evo, sale e pepe qb. Tagliare assai finemente le cipolle e stufarle, con poco olio, in una ampia padella; appena iniziano a sfaldarsi aggiungere un bicchiere d'acqua e, a fiamma dolce, proseguire la cottura per circa 25 minuti, aggiungendo i semi di coriandolo. Trascorso il tempo, inglobare l'aceto di mele, lo zucchero, la scorza ed il succo di mezza arancia con lo zafferano scioltovi, l'uvetta rinvenuta ed i pinoli. Proseguire per altri 8\10 minuti, mescolando spesso. Alla bisogna aggiungere un poco d'acqua, salare e pepare. Le cipolle dovranno risultare quasi sfatte. Cuocere i fusilloni, scolarli e passarli sotto l'acqua corrente, saranno serviti f

Suppli' "ar telefono"

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  Quando si lascia definitivamente la propria città natale per lavoro, amore o qualsiasi altra ragione, ci si porta, ben chiusi nel cuore, ricordi di profumi, di colori e di sapori che ci hanno accompagnato nella vita. Una romana come me, porterà sempre con se, tra gli altri, il ricordo del gusto inimitabile dei supplì, e invano lo ricercherà fuori da Roma, perché oltre i confini laziali, i supplì sono una pietanza praticamente sconosciuta. Inzomma, si me viè vojia de supplì, me tocca zozzamme le mano e fammeli. Il supplì, (o LA supplì, come lo definisce Ada Boni nel suo La cucina romana del 1929) è una sorta di grossa crocchetta di riso fritta panata con un cuore filante di fiordilatte, da non confondere MAI!!!! con i pur buonissimi, ma figli di tutt'altra tradizione e tutt'altra terra, arancini siciliani (o arancine, a piacere). Il termine supplì deriva dalla storpiatura, nel tempo, del termine francese sourprise , sorpresa, dovuto proprio a quel filo di mozzarella che, s