Le élite e le cucine popolari del XIX secolo: prima della democratizzazione

Il complicato processo di borghesizzazione della cucina, il dare ampia rappresentanza a quella fascia "intermedia" maggioritaria, che si esprimerà ancor più in primo luogo con la "Scienza in cucina" di Artusi del 1891, primissimo tentativo per una svolta più popolare, nasce da una netta contrapposizione tra "il povero" ed "il ricco", mood di quasi tutto il XIX secolo. Fino al termine del 1800 vi era infatti una netta distinzione tra la cucina "alta", aristocratica e nobile, e quella povera, rurale ed urbana, figlia delle situazioni di emergenza (guerre, pestilenze e carestie).

Un iniziale, flebile ed isolato impulso verso una cucina un poco meno elitaria e maggiormente "intermedia" si ebbe, guarda caso, proprio a corte: alla reggia ducale parmense, tra il terzo ed il quarto decennio dell'800, assistemmo ad una progressiva modifica dei consumi alimentari, traghettati, consapevolmente o meno, verso una borghesizzazione piuttosto accentuata. Ciò lo si evince anche da diverse testimonianze scritte sulla "disponibilità alimentare in cucina" che sono state oggetto di studi e ricerche da parte dello storico Marzio Romani. Un altro tassello che conferma questa nuova tendenza a corte lo troviamo nel ricettario dell'Agnoletti, cuoco della duchessa di Parma: le ricette qui esposte non sono così lontane, nei suoi ingredienti e preparazione, da quelle che ci proporrà, quasi 50 anni dopo, Pellegrino Artusi.

Tutto ciò rappresenta però un'isola felice in un mondo, la cucina, che rimarrà appunto assai diversificato tra i vari strati sociali per tutta la durata del XIX secolo. L'unico punto in comune possiamo affermare essere il vino: sempre presente a corte, prodotto economico di gran pregio, da abbinare alle svariate pietanze proposte, assurge ad una funzione non solo di distinzione sociale (la qualità e le tipologie dello stesso), ma ha una specifica caratterizzazione sul piano sanitario: le associazioni tra bevande ed alimenti seguono delle regole precise che tendono ad equilibrare, tramite le specifiche proprietà dei vini, i diversi caratteri nutrizionali degli alimenti che interferiscono con gli "umori" del corpo umano. Nell'alimentazione popolare la presenza del vino non era sistematica, seppur diffusa; spesso di bassa qualità, appare più come un alimento vero e proprio, che doveva fornire delle sostanze nutritive, che non come una bevanda dotata di un'identità precisa.

Nel 1872 la Società Italiana di Antropologia ed Etnografia di Firenze, tramite il Dr. Enrico Raseri, promosse un'inchiesta su tutto il territorio nazionale. Venne inviato un questionario a tutti i medici condotti degli 8300 Comuni presenti nella penisola, chiedendo tra l'altro quanto segue, circa gli usi e costumi dell'alimentazione:

- Qual cibo e bevanda prevalgono nell'alimentazione dei poveri?

- Qual cibo e bevanda prevalgono nell'alimentazione dei ricchi?

Comparando ed intersecando diversi dati si ha una palese diversificazione tra nord e sud, che si amplifica maggiormente tra i vari strati sociali. Ed ecco l'utilizzo di patate e cereali, particolarmente diffuso: con le varianti del caso, sono grandemente consumati dalla popolazione più povera, unitamente all'utilizzo di legumi e frutta, quest'ultimi presentissimi nelle regioni del sud. I latticini spopolano tra la plebe al Nord. I cibi di natura animale sono scarsamente presenti:

"V'è appena un quarto dei comuni del nord censiti dove il povero faccia qualche uso di carne. Nelle altre regioni i rapporti sono ancora più bassi, nelle province inferiori del napoletano se ne conta appena un decimo."

Il processo di democratizzazione della cucina è però vicino: i grandi tumulti storici e sociali determineranno, nel giro di pochi anni, quei processi di trasformazione che andranno a costituire le basi per una cucina più propiamente nazionale ed interregionale.

A tavola nell'800


 




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