Pasta, 1300 e oltre: prodromi di un'epoca

Pasta secca, pasta fresca. In epoca romana la "lagana", la contemporanea lasagna, era una sfoglia assai larga, particolarmente popolare e diffusa, tagliata grezzamente e cotta in forno assieme al suo condimento d'accompagnamento.

Un primo accenno sull'utilizzo della pasta lo abbiamo proprio in questo periodo. Ma è soltanto intorno al 1300 che si evince un cambio di costumi: lo scopriamo grazie al napoletano "Liber de coquina" (pietra miliare dei ricettari, primo manuale che ci narra per filo e per segno come cuocere le lasagne); in questo periodo del Medioevo si definirà una caratterizzazione della pasta più vicina agli usi correnti: ripiena, varietà di forme, lunga, larga, corta, forata! Soprattutto la consuetudine di bollirla in acqua, nel brodo o nel latte, rappresenterà la definitiva chiave di volta. 

Nello specifico si desume che furono gli Arabi, poco prima di questo periodo, a diffondere l'uso delle paste lunghe: i "Tacuina sanitatis" del XIV secolo attestano ciò sul piano iconografico. Nei ricettari arabi compare la pasta secca già nel IX secolo. Il geografo Edrisi ci testimonia la presenza di una vera e propria industria, intorno al 1100, a Trabia, poco fuori Palermo (la Sicilia araba, ad occidente).

Se le "forme" che assunse la pasta già a fine XIV secolo, grandemente nel pieno Rinascimento, sono assai similari, come dire, a ciò che troviamo esposto oggi sugli scaffali dei supermercati, un elemento assolutamente non in comune col sentire contemporaneo erano i suoi tempi di cottura, condimenti ed abbinamenti, tanto in voga allora:

"Questi tali maccaroni vogliono bollire per spatio di doi hore..." (Maestro Martino).

La pasta era sostanzialmente stracotta, non al dente come si usa oggigiorno. Questa reminiscenza rinascimentale, vedi bene, è ancora assodata in alcune parti dell'Europa come la Germania, dove tra l'altro viene spesso utilizzata come contorno e non come piatto a sé stante. Ancora il Liber si sofferma sul servire la pasta con "capponi, uova e qualsiasi genere di carne". Pure Bartolomeo Scappi, famosissimo cuoco varesotto attivo presso papa Pio IV, autore del celeberrimo e monumentale "Opera" del 1570, ci suggerisce di rifocillarsi con "capponi appastati e allessati coperti di lasagne".

Nel Rinascimento, nonostante le varietà reperibili, la pasta rimase comunque un cibo tra i tanti, una specie di sfizio che poteva abbellire i nostri palati solo in situazioni particolari. Anzi, nei momenti di difficoltà, a causa di guerre o carestie, era addirittura vietata. A Napoli, agli albori del '500, si proibiva tassativamente la fabbricazione di "taralli, susamelli, ceppule, maccaroni, trii vermicelli" nei periodi in cui la farina saliva di prezzo. Qui la popolazione si nutriva grandemente di minestre, pane, verdure e carne.

Solo nel tardo XVII secolo, grazie ad una sorta di "rivoluzione tecnologica", la pasta assunse un carattere, un ruolo "diverso"; l'invenzione del torchio meccanico rese possibile la realizzazione di vari tipi di pasta con prezzi assai più sostenibili che in passato. Da questo momento fu tutta una conquista del territorio nazionale.

Insomma, 1300: l'Italia "geografica", come spesso accadrà anche nei secoli successivi, si trova in questo caso ad essere il luogo di confluenza di due "mondi" cultural-gastronomici opposti, la cultura araba e la cultura romana. La storia del nostro orgoglio culturale a tavola parte tutta da qui...

Pasta

 

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