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Dolce e salato: la torta coi becchi della Lucchesia

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 Particolare: sapori decisamente opposti si incontrano. Assunta a fiero simbolo gastronomicco della città dalle belle Mura, per scoprire l'origine di questa torta, nel contempo salata e dolce, è obbligatorio spostarsi in Lucchesia, nelle campagne limitrofe; le colline e le miriadi di corti che circondano Lucca vedono nascere questa ricetta, figlia delle grandi tradizioni contadine. Porcari, Compito, Matraia, Pieve di Santo Stefano, Gragnano sono i luoghi, dove, già dal Medioevo, abbiamo notizia della presenza della torta coi becchi. A Lucca, originariamente, era solito prepararla per Pasqua. Adesso è a disposizione tutto l'anno nelle meravigliose pasticcerie cittadine. Le varianti sono assai interessanti (con o senza cioccolata), ma l' ingrediente principale è la bietola, la quale deve "scozzare" grandemente con canditi, spezie, zucchero, uvetta e pinoli. Un potpourri all'ennesima potenza, al palato sicuramente impegnativo per molti. Insomma: verde e... dolcia

La regina, celata tra gli scogli. Le sublimi triglie alla livornese

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"Macché arrosto o al cartoccio! Arrosto sono preferibili le orate e le mormore, i paraghi, i saraghi, i ragni. Volete mettere? E al cartoccio hanno troppo il dolcino. Il meglio di sé lo danno alla livornese. Incantano!" Aldo Santini Buongiorno, Signor Pesce! Aldo Santini, scrittore e giornalista livornese purosangue, rappresenta un vero patrimonio culturale per la città di Livorno; ebbe l’onore di ricevere la Livornina D’Oro dal sindaco labronico, massima onoreficenza cittadina, attribuitagli per i suoi meriti culturali, anche nel campo del giornalismo gastronomico. Dal 1945 attivo a “Il Tirreno”, scrisse numerosi e preziosi libri di cucina, oro per noialtri poveri mortali che tentiamo di cucinare qualcosa di passabile; raccontò meglio di ogni altro la livornesità nei suoi multiformi e variopinti aspetti, principalmente a tavola. E veniamo a noi: scoglio versus fondale, c’è triglia e triglia: è d’obbligo! Guizzante, d’un rosso acceso, riflessi iridescenti, pelle

Poveri in canna. La minestra sui discorsi, il "quasi nulla" nel piatto

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Quando si parla di territorialità gastronomica e cucina povera, quelle che si perdono nei meandri dei vissuti storico-sociali delle città o delle campagne, bisogna argomentare con le dovute differenze, alle volte marcate: cosa si mangiava nei grandi centri urbani e cosa nei paeselli dell'entroterra, decenni fa. Nella città labronica era assai nota la "minestra sui discorsi": un osso spugnoso, gli odori del caso, della conserva, acqua (a volontà) e, se era a disposizione, una tanto bramata cotenna di maiale. La storia di questa ricetta si collega, in un certo senso, alle arti pittoriche: a nominarla per primo fu Giovanni Bartolena, artista livornese allievo di Fattori e attivo nel "Gruppo Labronico" attorno al 1920; confidò la preparazione della ricetta a Mario Borgiotti, impresario e collezionista, fondatore del "Premio Rotonda" all'Ardenza di Livorno e grande promotore dell'arte dei Macchiaioli. Bartolena, pittore "cromaticamente" as

Torta multicolore estiva

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Ancora uno svuotafrigo estivo, di struttura... TORTA MULTICOLORE ESTIVA, per 6: Per la pasta sfoglia: (pastello) - 180 gr. di farina - 7 gr. di sale fino - 100 gr. di acqua (panetto) - 250 gr. di burro - 160 gr. di farina Per la farcia: - 1\2 peperone - 2 zucchine - 1\2 melanzana - 1 cipolla bionda - 4 uova medie - 60 gr. di ceci secchi - 1 patata a pasta gialla - uno spicchio d'aglio - del pepe nero in grani - delle foglie di salvia - del latte intero - del pecorino toscano - del pepe verde in salamoia - 4 alici sottosale - 1 lime - olio evo, sale e pep qb. Il pastello : sciogliere il sale nell'acqua, quindi, in planetaria con gancio, amalgamare il tutto alla farina. Ottenere, in breve tempo, un impasto non troppo elastico ma liscio, quindi trasferirlo in un recipiente coprendolo con della pellicola. Lasciar riposare. Il panetto : in planetaria, amalgamare l'altra farina al burro tagliato a cubetti; azionare la planetaria finché il burro avrà incorporato tutta la farina, v

Le Leggi Livornine ed il cuscussù. La Storia in cucina

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"Il Serenissimo Gran Duca… a tutti Voi Mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, dicendo ad ognuno di essi salute… per il suo desiderio di accrescere l’animo a forestieri di venire a frequentare lor traffichi, merchantie nella sua diletta Città di Pisa e Porto e scalo di Livorno con habitarvi, sperandone habbia a resultare utile a tutta Italia, nostri sudditi e massime a poveri…" Ferdinando I De’ Medici, “Leggi Livornine”, 1591-93. Si parte, necessariamente, da qui. Sovente mi soffermo sul concetto di quanto sia marcato l’intreccio tra società, storia e tradizioni gastronomiche; quanto il vissuto e le vicende secolari di una città, le proprie “culture straniere”, possano influenzare grandemente nei decenni anche la tradizione a tavola. La svolta ci fu proprio con l’istituzione delle Leggi Livornine da parte di Ferdinando I De’ Medici, tra il 1591 ed il 1593. G

Calamari al lime su crema di fagioli neri al coriandolo e cumino

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Esperimenti estivi... Per 4 persone: - 500 gr. di calamari - 1\2 spicchio d'aglio - succo di 2 lime - 60 gr. di fagioli neri - dei semi di coriandolo - dei semi di cumino - 1\3 di cipolla bionda - 1\3 di costa di sedano - 1 spicchio d'aglio - 1 peperoncino - del brodo vegetale - sale, pepe, olio evo qb. Ammollare per 12 ore i fagioli, quindi passarli sotto l'acqua corrente per eliminare le impurità. In una padella porre dell'olio ed un trito finissimo di 1\3 di cipolla bionda, 1 spicchio d'aglio ed 1\3 di costa di sedano: imbiondire il tutto ponendo anche un peperoncino intero, quindi versare i fagioli scolati e tostarli brevemente, aggiungendo, alla bisogna, del brodo; abbassare la fiamma e, dolcemente, portare a cottura per circa un'ora aggiungendo altro brodo, il cumino ed il coriandolo precedentemente pestati; non salare i fagioli. Pulire i calamari togliendo dente, occhi, scheletro ed, eventualmente, la pelle; tagliare a striscioline il corpo tenendo integr

#citazione

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#GualtieroMarchesi #cucinatoscana #ricette #cucinaregionale #love

Territori e Culture si sposano: cacciucco di ceci e datterini gialli

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Caccciucco! Con tre “c”. Nella città labronica lo si sente pronunciare sovente in questo modo, tra un “dé” ed un altro “dé”; ricetta-manifesto culturale della bella Livorno, porto di mare, storico incrocio e miscellanea di culture di mezzo mondo, anche in cucina. Il livornese è verace di carattere, se ti deve dire qualcosa spesso ti “smanacca” in faccia, gesticola; e così questa caratteristica si riversa grandemente anche nella tradizione gastronomica della città. Esistono altre versioni di questa sontuosa e prelibata ricetta, che può essere declinata anche “alla viareggina” e “alla grossetana”, utilizzando in più scampi, molluschi o gamberoni (il cacciucco alla livornese, MI RACCOMANDO, prevede unicamente l’utilizzo di pesci con lisca, palombo, seppia, polpo e canocchie). Se poi ci spostiamo a sud della Toscana, zona Argentario, gustiamo il celebre “caldàro”: aggiungiamo scorfano, tracina, san pietro, grongo, murena, e patelle. Insomma, grandi tradizioni di zuppe di pes

Quando i manuali di cucina sono dei "monumenti" patriottici: il caso "Cougnet"

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I primi venti anni del '900 hanno rappresentato di gran lunga un originale ed interessante tentativo, sovente riuscito, di concretizzare "su carta" la magnificenza della vasta tradizione gastronomica italiana. Poter consultare quindi, in molti, dei manuali più o meno elaborati, per una funzionale ed ampia "democratizzazione" del cucinare in qualità; novità che andrà progressivamente ad incontrare l'interesse, negli anni successivi, anche delle classi sociali meno agiate. 1910. Alberto Cougnet, medico, poligrafico e giornalista, fu incaricato dal Circolo Gastronomico di Milano di scrivere un manuale che potesse sostituire o aggiornare agilmente il famosissimo e plurieditato, ma un poco d'annata, "La Cuisine Classique" di Dubois e Bernard, dato alle stampe a Parigi nel 1856. La discussione fu ampia e dibattuta: metter mano alla Cucina Classica, innovando in gran parte i contenuti, o proporre qualcosa di totalmente nuovo? Si risolse per la seconda

Tra i calanchi senesi: la ciancifricola e la tradizione contadina

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Parenti... nel piatto! Rischio smodato di consumo di pane. Come sovente accade nella variopinta costellazione gastronomica attinente alla frugale tradizione popolare contadina, molte ricette sono similari per ingredienti e preparazioni. E' il caso di tirare in ballo i "cugini": il calzimperio versiliese (uova al pomodoro) e la ciancifricola senese, sostanzialmente un intingolo ristretto di uova strapazzate e pelati con una base di cipolla e aglio, il tutto da cospargere su pane casereccio. Questi due piatti sono di buon grado espressione della migliore tradizione gastronomica delle zone di appartenenza. L'origine del nome "ciancifricola" deriva dall'unione di due termini: "cianciare" e "fricolare". Nella città universalmente conosciuta per il Palio queste due parole sono assai adoperate: oziare, cioè "fare le ciance", o perdere inutilmente del tempo prezioso; "fricolare" sta invece per tramestare, fare "gran g

#chips

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#chips #patata #farinadiceci #scalogno #yogurt #pepeverde #prezzemolo

Terre di confine e tradizioni orali: la baciocca lunigianese

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La baciocca lunigianese, le famose terre di mezzo, gastronomicamente sempre rivelatrici di meravigliose scoperte. Non c'è niente da fare: noialtri appassionati di ricette regionali toscane ci ritroviamo spesso lì, studiando i manuali di cucina. La Lunigiana è un crocevia pazzesco di storia, cultura e tradizioni gastronomiche che si mischiano tra loro dando vita ad un fantastico e geniale poutpourri. Mescolanza che si riversa copiosamente sulla vasta "letteratura" da poter affrontare ai fornelli. Ricette, ricette ed ancora ricette, con le dovute varianti zonali di uno specifico piatto (già mi espressi in proposito su questa porzione di Toscana), che mutano fortemente tra paese e paese, seppur geograficamente ad un tiro di schioppo l'uno dall'altro. La baciocca lunigianese, nata tra le vallate ed i monti di Liguria e Toscana, ha, come molte ricette di questa zona, una storia molto controversa e dibattuta nella quale è difficile carpire la primogenitura terri

Oltre le polpette, con un poco di storia: polpettone svuotafrigo bollito

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Nuovamente: fine settimana con qualche avanzo in frigo, da utilizzare. Le polpette, sorelle "minori" del fantastico polpettone, (dal latino "pulpa", polpa), sono citate da Apicio nel "De re coquinaria" del IV secolo D.C., poi nuovamente da quel genio di scalco ferrarese che fu Cristoforo di Messisbugo, già presentato in un altro post, nel 1500. Si passa al 1705: nel "Panunto Toscano" il gesuita Francesco Gaudentio utilizza per la prima volta  la rete per la cottura delle polpette (oggi risulterebbe assai strano). Ma è solo nell' "Arte di utilizzare gli avanzi della mensa", scritto di tutto pugno dal poeta Olindo Guerrini nel 1918, che abbiamo la possibilità di attingere a numerose ricette e varianti utilizzando le polpette. Artusi ne parlava, ahimè, schernendole: "Questo è un piatto che tutti lo sanno fare, cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano" (la forma degli escrementi)

Fricassea: volubile e gustosa. Il tacchino

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A-D-O-R-O: fricassea di tacchino! E’ il caso di dire, in questo caso: come rischiare di rovinare irrimediabilmente un piatto se non si adottano tutte le accortezze necessarie. E 4, negli ultimi mesi! Devo confessare che ho un trasporto particolarmente marcato per questo tipo di preparazione, che si abbina agilmente a molte pietanze, dalla carne alla verdura. Rossi d’uovo, limone (ed eventualmente qualche altro ingrediente) per una salsa d’accompagnamento che deve essere figlia della prontezza e della velocità. Le reminiscenze sono francesi, relative solo quasi al termine: “fricasée”, partendo dal concetto di base della stufatura della carne, indica una particolare modalità di cottura degli alimenti (carne) in casseruola con del burro e vino, ai quali viene abbinata, in chiusura, una salsa-emulsione a base di rossi d’uovo e limone, rigorosamente amalgamata all’alimento a fuoco spento, dopo qualche secondo. Il punto centrale sta proprio qui: la prontezza. Il troppo ca

La farina di ceci, questa insolita scoperta...

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Onestamente non è così soventemente utilizzata e, opinione personale, spesso molto sottovalutata: la farina di ceci. Magnesio, ferro, vitamine B e C, potassio per una valida alternativa alle comuni farine di grano. Usando un poco di fantasia, e mettendo al centro la "contaminazione" di sapori, con un adeguato bilanciamento, è possibile adoperarla come ingrediente principe per una terrina tutta estiva, una piacevole scoperta. TERRINA DI ZUCCHINE FRITTE ALLA FARINA DI CECI, GAMBERETTI, ARANCIA, PEPE VERDE IN SALAMOIA, PANNA ACIDA E SCALOGNO, per 3: - 3 zucchine - farina di ceci qb. - 250 gr. gamberetti sgusciati - Ron Pampero qb. - mezzo scalogno - succo di 3\4 d'arancia - pepe verde in salamoia qb. - panna acida qb. - sale, olio evo, pepe qb. Con una mandolina affettare sottilmente le zucchine, oppure utilizzare un trinciante prestando attenzione allo spessore della verdura. Porre sul fuoco una padella con abbondante olio evo, infarinare le fettine di zucch

Il primo ricettario organico regionale della cucina: il caso "Agnetti"

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" Nel presentare al popolo dei buongustai questo libretto, noi intendiamo produrre, nel campo gastronomico, una vera e propria novita'. L'Italia [...] e' diversa e varia nei suoi costumi e nelle sue tradizioni, fra i quali non deve trascurarsi il modo di mangiare." Vittorio Agnetti, Milano, 1909. Sembra assai strano, ma e' tutto cosi'estremamente recente, perlomeno per quanto concerne i manuali di cucina regionale italiana. A livello organico e strutturale, con una lettura che tenti di restituire un'immagine in un quadro piu' nazionale, abbiamo un primo approdo bibliografico solamente con "La nuova cucina delle specialita' regionali", scritto di tutto pugno da Vittorio Agnetti nel 1909. Il percorso di stesura del manuale traccia una via gia' solcata da Pellegrino Artusi, cioe' lo scrivere sperimentando i piatti in prima persona spostandosi di regione in regione. Agnetti ne restituisce pero' un'opera certament

Cotto e mangiato: acquapazza di gallinella

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Acqua, aglio, olio, prezzemolo, peperoncino, nepitella ed il pesce che più ti piace! Tralasciando in parte la classica tradizione meridionale della cottura "in acquapazza", che prevede anche l'utilizzo di pomodorini ciliegini e pesci più rinomati o nobili come i branzini, le orate, i dentici e le spigole, oggi andremo a "rileggere" affrontando una versione un poco più toscana. Adopereremo uno dei pesci da me più amati, la gallinella. Il tocco di classe in più lo regalerà la mentuccia, qui da noi meglio conosciuta come "nepitella", assai in uso già al tempo dei Romani per condire le pietanze o farne un uso curativo. Colpevoli, anni fa, furono dei paccheri alla gallinella, piselli e zafferano: amore a prima vista! Questo tipo di pesce ha una carnosità ed un gusto così particolari che da quel momento è mio l'hashtag #gallinelladelmiocuor. Sin dal primo '800 abbiamo testimonianze della presenza di questa ricetta, al Sud. Tra Puglia, Campani

La tuma e le carrubelle siciliane. Estate nel piatto

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Appena tornato dal mio indimenticabile viaggio nella fantastica Sicilia, ecco un piatto veloce ed adatto all'estate, decisamente poco battuto: le carrubelle, ovvero come poter "leggere" le classiche acciughe sott'olio esaltandole con uno dei formaggi più rinomati dell'isola, la tuma. La tuma viene prodotta unicamente dalla sola cagliata del formaggio, senza aggiungere sale, procedimento che implica quindi un consumo non oltre le due settimane. In altri termini questo formaggio viene prodotto nella primissima fase iniziale di lavorazione del classico "picurinu" siciliano. Precede anche il "primosale", formaggio pecorino "molto giovane" e prodotto durante il secondo livello di stagionatura. Pasta dura, più o meno asciutta, con eventuale speziatura di pepe nero o peperoncino, la tuma ha una forma generalmentre rotonda, possiede una crosta assai dura dal colore tra il giallo ed il marrone chiaro. L'estate è sinonimo di facilità

I fornacini, la cattedrale ed il peposo del Brunelleschi

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Il peposo alla fornacina, meglio conosciuto come peposo del Brunelleschi, nasce tra le colline della valle del Greve, più precisamente ad Impruneta. È ricetta assai umile e semplice, per anni caduta nel dimenticatoio e riscoperta solo da poco; si narra che il costruttore della cupola della cattedrale di Firenze ne fosse particolarmente ghiotto… È risaputo che i numerosi operai, coinvolti nell’opera di costruzione della cattedrale fiorentina, amassero cibarsi di questo piatto a base di carne di manzo, vino rosso, pepe e pochi altri odori facilmente reperibili. I fornacini, addetti al controllo del fuoco che doveva ardere tutto il giorno per cuocervi le tegole del campanile, una volta arrivati a coprire il turno di notte, trovarono il modo di “rallegrare” l’estenuante veglia forzata con un piatto caldo, possibile da preparare sfruttando il forno. La carne disponibile era generalmente di bassa qualità, l’unica che ci si poteva permettere: pezzi di muscolo di manzo tagliato grezzamen

La "Piccola Gerusalemme" ed il suo "sfratto"

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Nell'Area del Tufo, poco meno di 4000 anime, un ridente paesello sito a 300 metri d'altezza, in provincia di Grosseto. Pitigliano è rinomata in tutta la Toscana: sin dal lontano 1500 ospita una comunità ebraica assai strutturata e fortemente integrata nel contesto sociale cittadino. Da qui il nome di "Piccola Gerusalemme". Il quartiere ebraico, la Sinagoga, i bui e stretti vicoli del centro, dominati da cantine, vasche, magazzini e botteghe di cucina kasher. Lo "sfratto", tipico dolce del luogo, nasce in questo contesto storico e culturale. La forma ed il nome sono riconducibili alle dolorose vicende che la comunità ebraica di Pitigliano visse in prima persona al tempo di Cosimo II de' Medici, Granduca di Toscana dal 1609 al 1621. Fu emanato un editto nel quale si intimava agli ebrei di abbandonare le proprie case per trasferirsi nel ghetto. Lo sfratto veniva notificato singolarmente alle famiglie della zona battendo appunto un bastone sulla porta

Il frigo piange, un eco eterno? Ecco le uova all'aglio di Cecina!

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Siate sinceri, vi capita spesso! Che sia la frenesia del lavoro-famiglia-attività varie o l'approssimarsi di ferie lunghe (indi per cui è necessario svuotare il frigo), un terribile e triste eco, interminabile, si impossessa sovente del nostro frigo, lasciando un alone di triste incertezza su tutto... Terrore. Solitari e mesti: spicchi d'aglio, rimasugli di acciughe sottosale e i sempiterni capperi aspettano impassibili la loro sorte, troppo a lungo, diremo! Il bello della cucina tradizionale è proprio qua: puoi fare un gran piatto anche col nulla. Passando intere notti assieme al mio insostituibile manuale, Il Grande Libro della Vera Cucina Toscana, scritto di tutto pugno da Paolo Petroni, ho scoperto questa ricettina easy easy tipica delle mie zone; siamo più precisamente a Cecina, ridente paesello ad un tiro di schioppo da casa mia. Un piatto veloce dove il re assoluto è l'aglio. PS: accertatevi di non vedere nessuno nelle successive 24 ore! UOVA ALL'AGLIO

Tra Ragusa ed Enna: coniglio al fondente

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Reminiscenze spagnole, visti i trascorsi, per un piatto tipico del territorio compreso tra la centralissima Enna ed il sud, il Ragusano. La Sicilia ci regala storia, natura, cultura e magnificenza in cucina.  Il cioccolato, centrale nelle preparazioni di carne, nello specifico negli umidi di selvaggina, era abbondantemente utilizzato durante il tardo Rinascimento, dove i "contrasti" nel piatto erano all'ordine del giorno.  Una piccola variante: mandorle pelate e sultanina, una lettura che si avvicina di gran lunga al classico dolceforte toscano. Dopo 8 ore di marinatura questa carne darà il meglio di sé! CONIGLIO AL FONDENTE, MANDORLE E SULTANINA, per 4: - 1 coniglio - cioccolato fondente amaro al 60%, 90 gr. - 1\2 carota - 1\2 cipolla - 2 cucchiai abbondanti di mandorle pelate - 2 cucchiai di uvetta sultanina - della farina - olio evo, sale e pepe qb Per la marinata: - vino rosso, 350 ml. - aceto di vino bianco, 1\3 di bicchiere - 1 costa di sedano - 1\2 c

Alici, quintessènza del pesce azzurro. La briga

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Se pensiamo alla alice o acciuga subito ci saltano in mente tre preparazioni assai frequentate, testimonianze autorevoli dei territori di riferimento: la torinese e poderosa bagna cauda, le acciughe al verde (“bagnet verd”, salsa piemontese a base di aglio, prezzemolo e acciughe sotto sale, utilizzata per accompagnare i bolliti) ed in ultimo un “assaggio” della pittoresca costiera Amalfitana con le sua rinomata colatura di alici di Cetara, color ambra vivo nel piatto. 40.000! Sono il massimale di uova che una femmina di acciuga depone sottocosta nel periodo di riproduzione, che avviene da aprile a settembre inoltrato. Pesce azzurro per eccellenza, può raggiungere una lunghezza che alle volte supera abbondantemente i 20 cm. Sul mercato troviamo agilmente le alici bianche, leggermente più piccole e adatte a fritti e marinature nel limone, mentre con le acciughe more o morelline possiamo preparare il sottosale o un bel ripieno al forno. Ho scoperto recentemente, con somm