Poveri in canna. La minestra sui discorsi, il "quasi nulla" nel piatto

Quando si parla di territorialità gastronomica e cucina povera, quelle che si perdono nei meandri dei vissuti storico-sociali delle città o delle campagne, bisogna argomentare con le dovute differenze, alle volte marcate: cosa si mangiava nei grandi centri urbani e cosa nei paeselli dell'entroterra, decenni fa.

Nella città labronica era assai nota la "minestra sui discorsi": un osso spugnoso, gli odori del caso, della conserva, acqua (a volontà) e, se era a disposizione, una tanto bramata cotenna di maiale. La storia di questa ricetta si collega, in un certo senso, alle arti pittoriche: a nominarla per primo fu Giovanni Bartolena, artista livornese allievo di Fattori e attivo nel "Gruppo Labronico" attorno al 1920; confidò la preparazione della ricetta a Mario Borgiotti, impresario e collezionista, fondatore del "Premio Rotonda" all'Ardenza di Livorno e grande promotore dell'arte dei Macchiaioli.

Bartolena, pittore "cromaticamente" assai impegnativo, ebbe un'infanzia parecchio travagliata (e pure la carriera), dove la povertà regnava indisturbata. Raccontò di un fatto molto singolare che riguardava la madre: un giorno, con fare abbastanza energico e sprezzante, la signora chiamò a tavola i figli per desinare:

"Ragazzi, oggi è più bigia del solito! C'è la minestra sui discorsi!"

La semplicità all'ennesima potenza, il "quasi nulla" nel piatto: come i discorsi che sono portati via dal vento. Giù in pentola l'osso spugnoso regalato dal macellaio sotto casa, gli odori d'avanzo che erano rimasti in dispensa, della conserva e, meraviglia delle meraviglie, la cotenna di maiale! Il tutto in tanta, tanta, tanta acqua.

Di buono c'era solo la sicurezza di non ammalarsi di diabete alimentare...


Giovanni Bartolena



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