Le Leggi Livornine ed il cuscussù. La Storia in cucina


"Il Serenissimo Gran Duca… a tutti Voi Mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, dicendo ad ognuno di essi salute… per il suo desiderio di accrescere l’animo a forestieri di venire a frequentare lor traffichi, merchantie nella sua diletta Città di Pisa e Porto e scalo di Livorno con habitarvi, sperandone habbia a resultare utile a tutta Italia, nostri sudditi e massime a poveri…"

Ferdinando I De’ Medici, “Leggi Livornine”, 1591-93.

Si parte, necessariamente, da qui. Sovente mi soffermo sul concetto di quanto sia marcato l’intreccio tra società, storia e tradizioni gastronomiche; quanto il vissuto e le vicende secolari di una città, le proprie “culture straniere”, possano influenzare grandemente nei decenni anche la tradizione a tavola.

La svolta ci fu proprio con l’istituzione delle Leggi Livornine da parte di Ferdinando I De’ Medici, tra il 1591 ed il 1593.

Già nei primi anni della Repubblica di Firenze fu sancita e messa su carta, grazie a Cosimo I De’ Medici, una serie di facilitazioni e priviliegi in favore di chi fosse venuto ad abitare, aprendo la propria attività, nella città labronica. Ferdinando divenne Granduca di Toscana nel 1587, favorì fortemente il completamento e la definizione di quel porto cittadino che doveva, negli intenti, rappresentare lo sbocco a mare principale per tutto il territorio toscano.

Così si ebbe la geniale idea di pensare ad una legge che incentivasse l’incremento demografico, della serie: “stabilitevi a Livorno, vi diamo una mano sui debiti contratti e vi proponiamo alcune facilitazioni per la casa e le attività commerciali.”

Questo fu lo spirito delle Leggi Livornine: da tale specifico tassello storico, unitamente all’istituzione del porto franco, Livorno si eleverà a quel crogiuolo, mescolanza e potpourri di culture e tradizioni che è anche oggi, con la prospettiva inoltre di poter liberamente professare il proprio culto.

La bella Livorno, da paesello di pescatori con poco più di 1.000 abitanti, passò velocemente a contarne 20.000, tra cui, tra gli altri, circa 5.000 ebrei. Nei decenni successivi anche le tradizioni gastronomiche “estere” entrarono di buon grado nel tessuto culturale della città.

Il cuscussù più propriamente “ebraico” arriverà a Livorno solo dopo circa due secoli, intorno al 1700 (il montone e l’agnello sono fortemente adoperati nei paesi arabi), contempla l’utilizzo di carne di vitello, uova e fagioli. Questo piatto ha subìto, come spesso accade, delle marcate modifiche nei suoi ingredienti durante i periodi a seguire, tanto che è veramente facile spulciare “letture” anche diametralmente opposte.

Un piatto fenomenale che richiede veramente molte ore di preparazione. E ce ne faremo una ragione se, una volta tanto, non la pensiamo come Sor Pellegrino (Artusi), che per molti anni visse a Livorno; descrisse così il cuscussù nel suo “La Scienza in Cucina”, definendolo un “intruglio”:

"A parer mio non è piatto da fargli grande feste."


CUSCUSSU’ ALLA LIVORNESE, per 6:

  • Semola grossa per cous cous, 500 gr.
  • Spezzatino di vitellone o scottona, 500 gr.

  • Odori (sedano, carota e cipolla bionda)

  • pomodori pelati, 600 gr.

  • 2 zucchine

  • 1 melanzana

  • 1 peperone

  • ceci secchi, 70 gr.

  • brodo vegetale

  • olio evo, sale e pepe qb.

  • della curcuma

  • dei semi di cumino

  • pepe nero in grani

  • macinato di vitellone, 300 gr.

  • 3 uova

  • della mollica di pane ammollata in latte

  • 2 spicchi d’aglio

  • del prezzemolo

  • del pecorino toscano

  • del pangrattato

  • olio di semi di arachidi

  • della farina

Ammollare 12 ore i ceci secchi, quindi passarli sotto l’acqua corrente per eliminare le impurità. In una fagioliera di terracotta temperata versare dell’acqua e portare a cottura per circa un’ora, sobbollendo, i ceci; aggiungervi dei grani di pepe nero, uno spicchio d’aglio, dei semi di cumino e della curcuma; non salare l’acqua. Scolare e mettere da parte.

Per le polpette: amalgamare 300 gr. di macinato di vitellone a 3 uova, aggiungere la mollica di pane ammollata nel latte e strizzata, del pangrattato, un trito fine di mezzo spicchio d’aglio e prezzemolo, il pecorino, della curcuma e dei semi di cumino; oliare, salare e pepare. Formare delle polpette assai grosse, infarinare e friggere in abbondante olio di semi. Preparare poco trito di odori, incorporando anche dell’aglio e del prezzemolo; in una padella soffriggere gli odori tritati aggiungendo, poco dopo, 200 gr. di pelati. Cuocere a fiamma media per circa 25 minuti, allungando alla bisogna con del brodo; ripassare quindi nella salsa di pomodoro, per circa 5 minuti, le polpette precedentemente fritte. Mettere da parte.

In un’altra padella assai ampia far rosolare gli odori in abbondante olio evo, unire quindi lo spezzatino (io ho usato la scottona), andare di reazione di Maillard per poco aggiungendo quasi subito del brodo. Proseguire la cottura a fiamma molto bassa per circa mezz’ora; porre quindi 400 gr. di pelati ed andare per un’altra ora e mezzo allungando con del brodo; un quarto d’ora prima del termine della cottura unire tutte le verdure tagliate grezzamente. Amalgamare i ceci già cotti al tutto, spolverando con abbondante curcuma e semi di cumino; salare e pepare.

In una pentola porre 3 bicchieri di acqua, un cucchiao di olio, salando con sale fine. Appena l’acqua bolle spegnere la fiamma e versare 3 bicchieri di cous cous; rimestare velocemente e coperchiare per circa 5 minuti. Passato il tempo sgranare con la forchetta.

Impiattare a piacere il cuscussù.

Cuscussù alla livornese


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