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Il fattore cristianesimo e l'identità alimentare europea

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 [...] Come bevanda hanno un liquido ricavato dall'orzo o dal frumento, fermentato in modo analogo al vino. [...] Il loro cibo è semplice: frutti selvatici, selvaggina appena cacciata, latte cagliato; riescono a soddisfare la fame senza elaborati preparativi e senza ghiottonerie. Nelle parole di Tacito si palesa, molto tempo prima della caduta dell'Impero romano d'Occidente, il modello culturale e gastronomico di coloro che avrebbero segnato le sorti dei territori occidentali europei per molti secoli: popoli di origini germanica e dacica si sarebbero avvicendati occupando queste zone a più riprese, per diverso tempo e per svariati motivi, spingendosi sempre più a sud-ovest. Nel 476, con la deposizione di Romolo Augusto per mano del barbaro Odoacre, i fasti di epoca romana sono solamente un lontano ricordo, si realizza un nuovo percorso in una società ormai pienamente in decadenza, pronta ad essere grandemente rimodulata.  Il punto di partenza lo si deve ricercare sondando i

Associazioni, club, stampe e confraternite gastronomiche. Seconda parte

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Associazioni, club e confraternite che si occupavano di gastronomia e di cultura alimentare, con l'intento di salvaguardare i prodotti e le identità, avevano anche lo scopo di mettere in connessione i vari professionisti del settore, avvalendosi di efficienti strumenti di informazione al pubblico: in tal modo l'intera filiera produttiva veniva fortemente influenzata. Ne furono un esempio i club parigini di inizio '900, veri e propri gruppi di pressione che potevano indirizzare le scelte di mercato, con una impressionante ricaduta trasversale sulle attitudini delle varie classi sociali: pensiamo, uno su tutti, al mitico  Club des Cent , fondato nel 1912 ed ai suoi illustri rappresentanti, come Curnonsky, Henri Gault e Christian Millau. Francia. Durante la prima guerra mondiale, passando per la crisi del '29 ed arrivando ai travagliatissimi anni Trenta, l'apertura di saloni espositivi e commerciali fu speculare all'intento di sensibilizzare il consumatore verso un

Associazioni, club, stampe e confraternite gastronomiche. Prima parte

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Nel 1931 venne data alle stampe la Guida gastronomica d'Italia , carta  geo-gastronomica  nazionale ideata dal Rotary  di Milano e dal Touring Club Italiano . L'obiettivo era quello di proporre una cultura del cibo che andasse a collegare la società ed il "saper mangiare, regionale e provinciale", con una visione maggiormente antropologica: creare un filo rosso che mettesse in relazione l'agricoltura ed il consumatore finale, passando per tutta la filiera e gli aspetti culturali da essa generati. Si pensò così di incrementare la presenza di  consociazioni che potessero offrire specifici indirizzi di politica alimentare, con l'apporto di competenze qualificate volte a combinare turismo e prodotti di qualità. Oltralpe, nella Francia repubblicana di quegli anni, la destra governativa promuoveva e sosteneva le eccellenze e le identità locali, tra i vari tartufi ed i fegati d'oca. Una visione marcatamente nazionalista, politica, che trovò piena realizzazione ne

Futurismo e cucina: alcune ricette

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Era il 28 dicembre del 1930, una domenica. La Gazzetta del Popolo, quotidiano torinese, pubblicò in pompa magna il credo futurista in cucina, una serie di paradossi estetico-gastronomici anch'essi inseriti nell'alveo del nuovo sentire marinettiano proposto alla società: una evoluzione morale tout court della stessa, rivoluzione che doveva interessare le arti, il teatro, la letteratura, la musica e ovviamente la cucina. Il Manifesto della cucina futurista di Marinetti incitava a  scuotere la materia per risvegliare lo spirito e formare un vero e proprio uomo nuovo, rinato dalla caducità della tradizione. Si proponeva un "agire" diverso, che doveva realizzarsi anche trasversalmente tra chi produceva e chi consumava cibo, uno stacco netto col passato. Se poniamo l'attenzione alla marcata artigianalità dei prodotti di quel periodo, alla flebile industrializzazione nella produzione di cibo, che si stava solamente da poco realizzando, fa specie pensare che da lì a qualc

La minestra di Mamma Tamara: tra miseria e bocche affamate

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Come spesso mi accade ultimamente attingo volentieri dall'opera dell'immenso Aldo Santini per condurre delle ricerche sull'identità gastronomica livornese di un tempo: un mare di ricette che ritroviamo unicamente nei libri di cucina ormai sbiaditi, tra la polvere dei nostri scaffali, pubblicati nel corso degli anni anche dal giornalista labronico. La ristorazione oggigiorno è attenta ad altro... Nel 1982, in quel di Cecina (LI), passava a miglior vita un noto pescatore del luogo, Adolfo Marconi, conosciuto da tutti i paesani con il nome di "Cantuccio". Sin da giovane, soprattutto nei periodi di scarsità di risorse dovuti alle conseguenze della guerra, era solito consegnare alla moglie Tamara tutti i pesci di seconda mano, i quali sarebbero rimasti in gran parte invenduti al mercato ittico di Marina di Cecina. La moglie si spendeva grandemente per poter realizzare una minestra di pesce che fosse la più saporita possibile: piatto unico e nutriente che doveva riempir

Tra artigianalità e produzione industriale: l'anno zero dell'essiccazione artificiale della pasta

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A Napoli è presente un vecchio detto che affonda le sue radici nella secolare cultura cittadina: "I maccheroni si fanno col scirocco e si asciugano con la tramontana". Inizio XIX secolo. I numerosi pastifici di stampo artigianale del litorale partenopeo, assai produttivi in quelle zone già da alcuni anni, potevano sfruttare ampiamente l'estrema generosità del clima, approfittare, durante il processo lavorativo, del continuo alternarsi tra il caldo umido dello scirocco ed il fresco asciutto della tramontana: nella realizzazione e nella successiva essiccazione naturale dei vari formati di pasta si concretizzava tutta la secolare magnificenza, incomparabile maestria del saper fare. Gli spazi dove poter stendere il prodotto da essiccare, una volta estruso, erano numerosi e piuttosto ampi, luoghi che potevano tranquillamente sopportare i cospicui aumenti di stock da esporre, derivanti in primis dalle migliorie tecnologiche apportate alle macchine negli anni immediatamente prec

Il nuovo che non sfonda: l'arrivo del pomodoro in Europa

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Nonostante il 1492 nella vecchia Europa non si registrarono significativi mutamenti sul piano delle pratiche alimentari, perlomeno nel medio periodo; la presenza dei nuovi protagonisti importati dalle Americhe, come il pomodoro, poco influì sulle usanze di cucina già esistenti. Soltanto qualche secolo dopo, con estrema lentezza, uno specifico utilizzo del pomodoro contribuirà ad apportare nuovi fondamentali tasselli all'identità culturale europea.  Mentre Asia e Africa già da diversi secoli interagivano su più fronti con i popoli europei, quindi anche in campo alimentare, gli "scambi colombiani", - idee, uomini e prodotti che circolavano da una parte all'altra dell'oceano - portatori di novità totalmente inattese all'inizio, ebbero delle prerogative di diffusione assai più complesse. Da parte dei colonizzatori, in quel frangente, assistemmo ad una sorta di "paura del nuovo". Sentirono la necessità di determinarsi culturalmente nel nuovo territorio an

Il ristorante: un luogo tra muri ed open space

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Istituzionalizzare un luogo, definirlo diversamente, cambiare i parametri mentali. Possiamo affermare che il ristorante in quanto tale, nell'accezione moderna, nasce in Francia, a Parigi, nella seconda parte del XVIII secolo, mentre dopo la rivoluzione del 1789 si nota una estrema capillarizzazione territoriale: esso diventa il luogo perfetto designato ad interpretare il nuovo sentire, con una sua specifica peculiarità nel tempo e nello spazio. Le pratiche di cucina parigine e l'affinamento del gusto si diffondono in un ambiente inedito che deve essere vissuto in primis da un gruppo predefinito di persone, con una netta separazione dei tavoli e dei luoghi. A differenza delle osterie e delle taverne, caotiche, tipiche dei periodi precedenti, dove ci si ritrovava al tavolo assieme a sconosciuti un poco a caso, adesso sono totalmente cambiati l'approccio, il  gusto , la simbologia collegata all'atto del consumare il cibo in gruppo. Convivialità specifica, affinamento del

Cucina: la Livorno d'antan, l'Inno di Garibaldi

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L'Inno di Garibaldi, ovvero la Livorno d'antan. Sapori e tradizioni di un tempo perduto riproposti, una trentina di anni fa, dal grande Aldo Santini, giornalista labronico purosangue che più di ogni altro ha scandagliato meticolosamente i meandri della variopinta cultura livornese. Tra le varie pubblicazioni dell'autore si annovera la mitica "La nostra cucina - ricette e storie nella tradizione di Livorno e della sua provincia", prolifica collaborazione editoriale con il quotidiano cittadino "Il Tirreno". Ne scaturì una serie di schede tematiche, assai dettagliate, sulle ricette storiche tipiche di Livorno, intrise di suggestive esperienze personali legate al cibo; ricette perdute, molte delle quali, già a quei tempi, ormai fuori dai menù dei ristoranti e assai poco conosciute dalla popolazione. La cucina tradizionale livornese è figlia della semplicità, della povertà e della funzionalità del riciclo; le economie domestiche insegnavano a riutilizzare i p

Nella Roma antica, tracannando vino...

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Buon vino, ed abbondante, per palati piuttosto esigenti, se non raffinati. In epoca romana era frequente assumere il vino annacquandolo copiosamente, senza ritegno, diremmo oggi; inoltre lo si consumava caldo in inverno e particolarmente fresco durante il periodo estivo.  Il magister , commensale della cena, chiamato anche arbiter bibendi o rex convivi , veniva nominato dai presenti, come nella tradizione ellenica: si accollava l'onere di decidere quale fosse la percentuale di acqua da aggiungere ai vari vini, quando e in quali quantità bere la bevanda. Eliminata la torbidità del vino tramite un colino, alle volte dovuta ai non idonei metodi di lavorazione e conservazione, il procillator , appena acquisite le indicazioni dal magister, preparava la mescolanza dei liquidi nel cratere , versandovi acqua già bollita ed il vino, quest'ultimo attinto da un recipiente, detto cernophorus .  A seconda dei gusti del caso, dopo aver miscelato accuratamente i due liquidi, il tutto veniva a

I luoghi e le mansioni: un piccolo viaggio dentro la cucina di epoca romana

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La frequente disponibilità di ricchezze di alcune famiglie, in epoca romana, portò a riversare grandi attenzioni all'ampliamento, anche in senso qualitativo, degli spazi già esistenti adibiti alle attività di cucina e degli altri luoghi annessi, soprattutto nelle case di città e nelle ville di campagna; già all'epoca di Marco Emilio Scauro, pretore, console e censore tra il 120 a.C. ed il 109 a.C., si potevano avere a disposizione ambienti assai smisurati, come appunto la sua cucina, che misurava più di 150 piedi di lunghezza. Grande riguardo dunque agli spazi, ma anche agli strumenti ed al personale che vi lavorava. Accanto alla cucina si trovava l' horreum , una dispensa-magazzino dove si conservavano le carni salate, i vasi di miele, la frutta secca, le spezie, l'olio il vino ed altri cibi; a sua volta si definiva  horreum rusticum  quello situato in campagna, realizzato in luoghi asciutti, distanti il più possibile dalle case per evitare di incappare in pericolosi i

LA PIZZA LIEVITA

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    L’ha’ messa ‘a crisciuta? Eh… l’ajo messa massera… mo dimammatina vedemo… (Hai messo la "Cresciuta"? Si, l'ho messa stasera. Ora, domattina, vediamo...)   L’ha’ cotte? Scine. Zitta, va! Che ovannu me so’ vinute proprio be’! A me ovannu non me so criusciute pe’ gniente. Eh, pure Italia ha ‘ittu che a essa je sse so’ resbassate ‘n mezzo e che drento so’ cruacchie e s’aremmenghianu... Valchiria pure l’ha fatte, dice che je so’ vinute be’ ma pure a essa ‘nje so’ crisciute… Eeehhh, va a sapì… (Le hai cotte? Si! Zitta, va! Che quest'anno mi sono venute proprio bene! A me quest'anno non sono cresciute per niente. Eh, anche Italia ha detto che a lei si sono riabbassate al centro e che dentro sono rimaste crude e si riimpastano. Anche Valchiria le ha fatte. Dice che le sono venute bene, ma neanche a lei sono cresciute. Eeehh, va' a sapere perché...)    Quella che avete appena letto era una tipica conversazione telefonica del Sabato Santo tra mi