Associazioni, club, stampe e confraternite gastronomiche. Seconda parte

Associazioni, club e confraternite che si occupavano di gastronomia e di cultura alimentare, con l'intento di salvaguardare i prodotti e le identità, avevano anche lo scopo di mettere in connessione i vari professionisti del settore, avvalendosi di efficienti strumenti di informazione al pubblico: in tal modo l'intera filiera produttiva veniva fortemente influenzata. Ne furono un esempio i club parigini di inizio '900, veri e propri gruppi di pressione che potevano indirizzare le scelte di mercato, con una impressionante ricaduta trasversale sulle attitudini delle varie classi sociali: pensiamo, uno su tutti, al mitico Club des Cent, fondato nel 1912 ed ai suoi illustri rappresentanti, come Curnonsky, Henri Gault e Christian Millau.

Francia. Durante la prima guerra mondiale, passando per la crisi del '29 ed arrivando ai travagliatissimi anni Trenta, l'apertura di saloni espositivi e commerciali fu speculare all'intento di sensibilizzare il consumatore verso una determinata cultura gastronomica e le sue peculiarità: una sorta di propaganda centralizzata, dove vi afferivano corporazioni di mestiere ed associazioni turistiche. In Italia il fascismo proporrà lo stesso modello.

Intorno al 1950, dopo i terribili anni della guerra, si realizzò un cambio radicale di paradigma. Con la rinascita dell'industria agroalimentare nazionale, con il rilancio coevo del turismo e l'approdo ad un nuovo codice ristorativo che poteva offrire ovunque specialità locali, regionali e nazionali, la cucina italiana si allontanò definitivamente dal modello francese, conquistando una posizione egemone in Europa ed in USA. Non a caso l'Accademia Gastronomica Italiana si fece trovare pronta ad interpretare il nuovo sentire. Fondata a Bologna nel 1957, strizzava l'occhio anzitutto ai ristoratori, ai cuochi ed ai gastronomi, in un panorama culturale dove ancora poche erano le guide e piuttosto carente la cultura dei clienti.

Poco tempo prima, nella Milano capitale dell'industria e dell'editoria, vide la luce l'Accademia Italiana della Cucina. Già dall'anno della sua fondazione, il 1953, essa poteva vantarsi di avere un peso mediatico piuttosto rilevante nella società, tanto da diventare presto un vero e proprio gruppo di lobbing. Come nella Francia degli anni Venti anche qui alcuni giornalisti guidarono l'iniziativa: Orio Vergani, direttamente dal Corriere della Sera, Massimo Alberini e Vincenzo Buonassisi, entrambi influenti pubblicisti ed importanti membri del mondo dell'informazione. Ed ecco presenti, come editori, Mondadori e Mazzocchi, mentre fra gli industriali che sposarono il progetto dell'Accademia si annoverarono nomi come Citterio (i salumi) e Donà delle Rose. L'Accademia Italiana della Cucina indirizzò fortemente le scelte dei consumi negli anni successivi, in un contesto in cui, a partire dal 1958, si realizzarono una crescita esponenziale della domanda alimentare ed un inesorabile e generale spopolamento delle zone di campagna e di montagna. 

Orio Vergani ebbe l'intelligenza e la sensibilità di approfittare di questa situazione, in una società dove la parola industriale era diventata ormai il carattere distintivo del nuovo approccio. L'aver intuito l'urgenza di riflettere su una preparazione del cibo a livello nazionale, su ciò che vi ruotava attorno, rappresentò la mossa strategica del progetto culturale, condiviso in toto dai vari collaboratori che incoraggiavano e tutelavano la sua visione. Porre l'interesse sulla cucina italiana nella sua interezza, non analizzando più un singolo piatto o un vino locale, avendo invece una nuova ottica sovraregionale, permise di abbracciare una lettura sia domestica che ristorativa, vagliare qualità dei prodotti e delle pratiche di cottura, in un ambito che comunque non escludeva nessuna cultura provinciale e che poteva agilmente giocare in un conteso internazionale.

Scevra da aspetti folkloristici, lontana dai velluti, dalle gualdruppe e dalla rivisitazione in maschera del passato - aspetti che avevano fortemente caratterizzato i club gastronomici degli anni precedenti - il ruolo istituzionale dell'Accademia portò alla realizzazione del suo primo progetto editoriale nazionale, la Guida ai ristoranti d'Italia del 1961, sponsorizzato dall'Automobile Club d'Italia. La Guida permetteva di apprezzare, comparativamente alla guida Michelin di quell'anno, numerose schede organizzate su ben sette indicatori (categoria, prezzi, ambiente, capacità, cucina, specialità e vini) ed una designazione dei piatti con nomi non convenzionali o tipologici. 

Un pubblico oramai competente poteva far proprie informazioni elaborate, raccolte, in un'ottica nazionale, tramite una rete associativa competente e professionale.

Club des Cent



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