Nella Roma antica, tracannando vino...

Buon vino, ed abbondante, per palati piuttosto esigenti, se non raffinati. In epoca romana era frequente assumere il vino annacquandolo copiosamente, senza ritegno, diremmo oggi; inoltre lo si consumava caldo in inverno e particolarmente fresco durante il periodo estivo. 

Il magister, commensale della cena, chiamato anche arbiter bibendi o rex convivi, veniva nominato dai presenti, come nella tradizione ellenica: si accollava l'onere di decidere quale fosse la percentuale di acqua da aggiungere ai vari vini, quando e in quali quantità bere la bevanda. Eliminata la torbidità del vino tramite un colino, alle volte dovuta ai non idonei metodi di lavorazione e conservazione, il procillator, appena acquisite le indicazioni dal magister, preparava la mescolanza dei liquidi nel cratere, versandovi acqua già bollita ed il vino, quest'ultimo attinto da un recipiente, detto cernophorus

A seconda dei gusti del caso, dopo aver miscelato accuratamente i due liquidi, il tutto veniva alle volte raffreddato utilizzando degli speciali imbuti pieni di neve (se disponibile).

Nei conviti della Roma antica era a disposizione una vasta gamma di vini. I romani erano molto attenti alle pratiche colturali della vite, già abbondantemente produttive in epoca etrusca; troviamo una primissima realtà, piuttosto organizzata, presso i terrazzamenti drenanti alle pendici dei monti Petrino e Massico, in Campania. Luoghi dal quale proveniva il mitico Vinum Falernum, come ci segnala anche Columella nel suo trattato De re rustica; presenti, ovviamente, anche vini fatti arrivare dal Lazio e dalla Sicilia: alla fine della Repubblica erano assai ricercati anche il Caecubum e l'Albanum, mentre già sotto Augusto godevano di ottima reputazione i vini di Setia, il Gauranum, il Trebellicum ed il Trebulanum.

I vini maggiormente liquorosi e concentrati erano grandemente apprezzati da molti, mentre altri venivano profumati, addizionando fieno greco, zafferano, finocchio, mele cotogne, radici di giaggiolo e cannella. Di parere assai contrario sull'aspetto delle addizioni era lo stesso Columella, il quale, riferendosi ai vini più pregiati, scriveva:

Ogni qualità di vino che si dimostra capace di invecchiare senza bisogno di aggiungerci profumi speciali, la considero ottima e quindi sono del parere che non si debba mescolare.

Mezzo secolo: i vini non venivano invecchiati solamente di qualche decina di anni. Si hanno notizie di Falerno invecchiato di cento anni, mentre Giulio Cesare, in un simposio, avrebbe offerto del vino prodotto ai tempi di Anco Marzio, conservato nelle cantine per ben 500 anni.

Durante le cene i procillator, pueri e cyatho versavano i vini dentro delle coppe finemente lavorate in oro e argento, utilizzando un recipiente caratterizzato da un lungo manico, il cyathus. Altre coppe potevano essere forgiate con murra, pietra dura opaca e cristallo, per donare una maggiore fragranza al vino. I "bicchieri" potevano assumere svariate forme: calix, phiala, ciborium, rython e scyphus

Il rython aveva una forma assai particolare: elemento molto pregiato, grosso, a forma di corno ed aperto ai due lati. Il commensale poneva il pollice sul foro piccolo della punta e chi era addetto alla mescita riempiva il recipiente dalla parte larga. Ed ecco il brindisi con il braccio alzato, si portava quindi alle labbra la punta del rython ed era d'obbligo bere fino a che il recipiente non fosse totalmente vuoto. 

Dopo aver consumato una prima portata, costituita da salati e piccanti vari, veniva servito il mulsum, vino impreziosito con miele; la cena proseguiva con una serie di vini bevuti moderatamente, mentre alla commisatio venivano offerti i vini maggiormente pregiati, preparati con uva scelta ed appassita al sole.

Sudiamo come matti per procurarci una gran sete.

          Columella

Nel De re rustica l'autore ci informa di questo bizzarro aspetto: spesso era presente una esasperata sete tra i convitati, causata dai bagni caldi fatti precedentemente e dalle vivande ingerite, sovente asciutte e dolciastre; ed ecco che al termine del simposio si tracannavano copiose quantità di vino. I postumi erano spesso presenti: Cicerone, descrivendo una della tante orge di Verre, ci ricorda come molti dei suoi convitati venissero frequentemente portati via a forza, come fossero "mortalmente feriti", rimanendo "a giacere sul terreno privi di sensi".

I vini medicamentosi erano utilizzati contro la costipazione, i disturbi delle vie digerenti e la tosse, mentre le sbornie e le indigestioni venivano gestite con purghe, vini drogati e "bagni laconici", simili a bagni turchi:

Onde essere pronti per le prossime gozzoviglie. 

         Columella, De re rustica 

Rython romano


 

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