Il nuovo che non sfonda: l'arrivo del pomodoro in Europa

Nonostante il 1492 nella vecchia Europa non si registrarono significativi mutamenti sul piano delle pratiche alimentari, perlomeno nel medio periodo; la presenza dei nuovi protagonisti importati dalle Americhe, come il pomodoro, poco influì sulle usanze di cucina già esistenti. Soltanto qualche secolo dopo, con estrema lentezza, uno specifico utilizzo del pomodoro contribuirà ad apportare nuovi fondamentali tasselli all'identità culturale europea. 

Mentre Asia e Africa già da diversi secoli interagivano su più fronti con i popoli europei, quindi anche in campo alimentare, gli "scambi colombiani", - idee, uomini e prodotti che circolavano da una parte all'altra dell'oceano - portatori di novità totalmente inattese all'inizio, ebbero delle prerogative di diffusione assai più complesse. Da parte dei colonizzatori, in quel frangente, assistemmo ad una sorta di "paura del nuovo". Sentirono la necessità di determinarsi culturalmente nel nuovo territorio anche con i propri prodotti: per un mais che approdava in Europa, per esempio, c'era un frumento che partiva per l'America, da noi arrivavano patate ed esportavamo carote. Vi fu quindi un evidente tentativo di acclimatazione soft nei nuovi territori, sicuramente facilitato anche dalla presenza dei prodotti alimentari già conosciuti - rassicuranti- importati dall'Europa.

Ritornando al nostro pomodoro è da sottolineare il fatto che esso suscitò grosse perplessità tra gli scienziati e gli studiosi appena giunto in Europa e per diverso tempo, un poco come la patata. Nel 1576 (!) il botanico fiammingo Mathias de l'Obel, chiamandolo pomo amoris, ne sconsigliava l'uso in cucina, mentre, poco prima, con fredda approvazione, il medico Pietro Andrea Mattioli ce lo descriveva paragonandolo alle mele: 

[...] Sono questi schiacciati come le mele rosse e fatti à spicchi, di colore prima verde, e come sono maturi, in alcune piante rossi come sangue, e in altre di color d'oro.

Costanzo Felici, uno tra i più influenti botanici della storia, nel suo trattato Del'insalata e piante che in qualche modo vengono per cibo dell'homo del 1572, affermava placidamente di non apprezzarlo, consigliando di consumarlo in modeste quantità, eventualmente fritto o accompagnato con del classico succo d'agresto come fanno quei pochi ghiotti et avidi de cose nove.

Altro scienziato, solito approccio: Castore Durante, nel suo Herbario nuovo del 1585, ci palesa la sua idea sui pomodori:

Ritrovanse una sorte che non fa frutti à spicchi, ma tondi come le mele appie, e gialli rossi [...]. Mangiansi nel medesimo modo che le melanzane, con pepe, sale e olio, ma danno poco e cattivo nutrimento.

Soltanto alla fine del XVI secolo troviamo una primissima indicazione di ciò che successivamente rappresenterà l'utilizzo culinario per eccellenza della rossa bacca, ovvero la riduzione in salsa del nostro caro pomodoro, che più d'ogni altra riscuoterà successo in Europa. José de Acosta, gesuita e scrittore spagnolo:

Per temperare il sapore del peperoncino si ricorre al sale, che lo corregge molto, perché essi sono molti diversi l'uno dall'altro e i loro effetti si frenano reciprocamente, ma si ricorre pure alle tomate, che sono fresche e sane e sono delle speci di grossi acini sugosi, che fanno delle salse saporite, ma sono ugualmente buone da mangiarsi da sole.

Ed ecco che, lentamente e con numerosi inciampi, la salsa di pomodoro cominciò a ritagliarsi uno spazio tutto suo tra le pratiche di cucina europee. La sua data di nascita ed il primissimo utilizzo sono assolutamente impossibili da stabilire, ma abbiamo una prima attestazione scritta della rossa salsa, in un ricettario, a Napoli nel 1694 (!). Antonio Latini, famosissimo cuoco fabrianese, nel suo Lo scalco alla moderna, inserì una salsa di pomodoro "alla spagnola" (influsso iberico evidentissimo). Da sottolineare che proprio Spagna ed Italia furono tra i paesi europei maggiormente ricettivi rispetto ai nuovi prodotti alimentari importati dalle Americhe.

Arriviamo quindi al XVIII secolo, quando comincia a realizzarsi - trasversalmente tra le popolazioni europee - un maggiore utilizzo della salsa, per le più svariate preparazioni, fino a diventare, perlomeno per l'Italia, condimento e componente essenziale di ricette marcatamente identitarie: una "tradizione" - parola il cui significato è sovente abusato - con peculiarità decisamente poco autoctone.

[...] Si presta a moltissimi usi, come v'indicherò a suo luogo; è buona col lesso, è ottima per aggraziare le paste asciutte condite a cacio e burro, come anche per fare il risotto N. 77.

Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene 

Una "identita'" gastronomica possiede spesso peculiarità decisamente poco determinabili a livello storico-cronologico, non è possibile strutturarla dentro compartimenti stagni: figlia spesso del caso, sicuramente si realizza e prolifica grazie ad incontri e scambi continui - sovente fortuiti - tra culture e popoli molti differenti tra di loro.

Pomodoro





 




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