Cucina: la Livorno d'antan, l'Inno di Garibaldi

L'Inno di Garibaldi, ovvero la Livorno d'antan. Sapori e tradizioni di un tempo perduto riproposti, una trentina di anni fa, dal grande Aldo Santini, giornalista labronico purosangue che più di ogni altro ha scandagliato meticolosamente i meandri della variopinta cultura livornese. Tra le varie pubblicazioni dell'autore si annovera la mitica "La nostra cucina - ricette e storie nella tradizione di Livorno e della sua provincia", prolifica collaborazione editoriale con il quotidiano cittadino "Il Tirreno". Ne scaturì una serie di schede tematiche, assai dettagliate, sulle ricette storiche tipiche di Livorno, intrise di suggestive esperienze personali legate al cibo; ricette perdute, molte delle quali, già a quei tempi, ormai fuori dai menù dei ristoranti e assai poco conosciute dalla popolazione.

La cucina tradizionale livornese è figlia della semplicità, della povertà e della funzionalità del riciclo; le economie domestiche insegnavano a riutilizzare i pezzi di carne meno pregiati avanzati dalla minestra in brodo del giorno prima. Ma il nome che si volle dare a questo piatto fu certamente altisonante, esagerato, ironico e retorico, un poco come i tratti salienti del carattere dei livornesi. Il lesso, quindi, avanzava molte volte ed ovviamente non veniva mai gettato: un poco di odori, aglio e rosmarino, delle patate per impreziosire e tanta conserva di pomodoro per "il più rosso dei piatti proletari".

"Garibaldi a Livorno era di casa, più che altrove in Italia, vi soggiornò a più riprese. Possiamo trovare una dozzina di lapidi in suo ricordo".

In effetti Santini ci mette a disposizione una sorta di elenco: soggiornò presso l'albergo "Le Isole Britanniche" di via Grande, con Anita nell'abitazione di un certo Notari in via del Toro, fu ospite dei Marchi in via Solferino, dei fratelli Sgarallino sugli scali di Porta Trinità (scomparvero nel 1898 con l'interramento del fosso e la costruzione di viale Caprera). Gli Sgarallino combatterono al fianco di Garibaldi, fornendogli anche un nutrito manipolo di uomini che lo raggiunsero durante la sosta dei Mille a Talamone. Santini ci informa di altro: il figlio di Garibaldi, Manlio, fu ammesso all'Accademia Navale di Livorno e la figlia Clelia possedeva una casa a sud della città, ad Ardenza, in via del Parco. Con Bixio Garibaldi partì per Firenze dalla stazione ferroviaria di Livorno San Marco, ormai dismessa da anni.

Garibaldi ebbe a dire, salpando per la sua Caprera dal porto labronico: "Cucinerò come mi avete insegnato voi, cari livornesi. A Caprera i pomodori non mi mancheranno, mi mancherete voi, invece!".

Tornando al nostro inno, è ovvio che ne nascesse un piatto totalmente dedicato. Santini ci consiglia di andare ad occhio nella quantità degli ingredienti, perché "il solo pensiero di mettere sulla bilancia il lesso avanzato fa ridere. Se sbagli impari". Solita storia per i tocchetti di patate: con la fame che circolava, "quando il colesterolo non era di moda", più patate tagliavi e meglio riusciva la pietanza. E giù tanto rosso di pomodoro se il lesso avanzato era poco...







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