Il fattore cristianesimo e l'identità alimentare europea

 [...] Come bevanda hanno un liquido ricavato dall'orzo o dal frumento, fermentato in modo analogo al vino. [...] Il loro cibo è semplice: frutti selvatici, selvaggina appena cacciata, latte cagliato; riescono a soddisfare la fame senza elaborati preparativi e senza ghiottonerie.

Nelle parole di Tacito si palesa, molto tempo prima della caduta dell'Impero romano d'Occidente, il modello culturale e gastronomico di coloro che avrebbero segnato le sorti dei territori occidentali europei per molti secoli: popoli di origini germanica e dacica si sarebbero avvicendati occupando queste zone a più riprese, per diverso tempo e per svariati motivi, spingendosi sempre più a sud-ovest. Nel 476, con la deposizione di Romolo Augusto per mano del barbaro Odoacre, i fasti di epoca romana sono solamente un lontano ricordo, si realizza un nuovo percorso in una società ormai pienamente in decadenza, pronta ad essere grandemente rimodulata. 

Il punto di partenza lo si deve ricercare sondando i secoli precedenti, analizzando i due modelli di società - e di cultura alimentare - che, fino a questi eventi, erano sostanzialmente estranei l'uno all'altro. Da una parte la civiltà greco-romana, con un sistema di produzione nel quale la facevano da padroni l'arboricoltura e la cerealicoltura, assieme ad un paradigma alimentare basato sulla triade grano-vino-olivo, dall'altra i popoli nordici dell'Europa continentale, nomadi, che prediligevano un'economia sostanzialmente di tipo silvo-pastorale, basata sullo sfruttamento dei boschi e degli spazi incolti, con la caccia e l'allevamento brado degli animali coevi a questa attività.

I due macro-modelli, inizialmente distinti ed estranei, verranno in contatto con le invasioni ed ancor più a partire dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente e la nascita dei regni romano-germanici, scontrandosi ed incontrandosi in un continuo fluire di scambi. Il Cristianesimo fungerà da trait d'union per la definizione di una primissima cultura alimentare europea, che uniformerà usanze e pratiche di cucina.

Se l'identità alimentare romana non fu totalmente assorbita e fagocitata dalle usanze dell'invasore è stato anche grazie al "fattore cristianesimo" che le fornì un puntello ulteriore: già il prestigio della civiltà romana che fu poteva di per sé aiutarla a resistere, in più il Cristianesimo ne recuperò grandemente i valori e li fece propri, in un contesto dove altre culture, quindi altri modelli alimentari, tentavano di agganciare il sud Europa. La sua diffusione fu veicolata anche altrove, dove non era conosciuta, proprio nelle terre barbare del Nord. Pane e vino, oltre a rientrare grandemente nel modello alimentare comune esistente, sono consacrati nella liturgia, e, tramite il processo di transustanziazione, rappresentano il corpo ed il sangue di Cristo; l'olio, come già attestato da secoli, veniva utilizzato per le unzioni sacre e per quelle a scopo terapeutico, arricchito con sostanze medicamentose. 

Elementi fondamentali del sacramento eucaristico, pane e vino sono entrambi fermentati, segnano quindi il distacco dalla tradizione ebraica degli azzimi. Il pane lievitato in sostanza delinea e definisce l'identità culturale europea. Una vera rivoluzione: le numerose e complesse regole alimentari ebraiche sono soppiantate dal Cristianesimo nascente, l'idea che non esistano generi alimentari vietati o non commestibili in effetti si diffonde proprio con il diffondersi della religione cristiana in gran parte dell'Europa occidentale.

Il primo tassello che contribuisce alla definizione di una identità comune europea è da ricercare nella diffusione della Regola benedettina, stilata nella prima metà del VI secolo da Benedetto da Norcia. Seppur improntata ad una morigeratezza generale, tende ad eliminare in toto il consumo della carne: più che impura, è considerata come possibile generatrice di pericolose energie capaci di risvegliare, nel monaco continente, alcuni istinti sopiti. Sono previste due pietanze cotte al giorno, alle quali aggiungere una libbra di pane e, se disponibili, legumi e frutti. Se al monaco sono richieste delle attività piuttosto impegnative da un punto di vista fisico, l'abate può concedere un incremento nella razione quotidiana. La Regola, declinata con alcune varianti nei singoli monasteri, viaggia assieme ai monaci nell'Europa occidentale e qui mette radici: il discorso alimentare, con l'integrazione di altri prodotti che sostituiscono la carne nei periodi di magro - pesce e formaggio, grassi vegetali al posto dei grassi animali - coinvolge non soltanto i monaci ma l'intera cristianità, andando quindi ad uniformare sempre più le pratiche di cucina.

La Chiesa dunque non preclude alcun cibo ai propri fedeli, semmai interviene nel determinare quando ed in quali quantità consumare alcune tipologie di alimenti in specifici periodi dell'anno. In un continuo evolversi, essa indica quali siano i giorni in cui si deve digiunare o astenersi dall'assunzione di certi alimenti, quali siano quelli da autorizzare sempre, da limitare o da eliminare in toto. Si parla di digiuno, di astinenza dalle carni, ed è proprio da ciò che nasce il sistema di alternanza grasso/magro, centrale per la nascita di una prima identità alimentare comune. La Chiesa impone di mangiare di magro per tre giorni la settimana (mercoledì, venerdì e sabato), nel periodo quaresimale e nei prefestivi, per un totale di circa 150 giorni l'anno.

Il maggior esperto di storia della gastronomia, Massimo Montanari, interviene sul binomio olio/burro-lardo-strutto, il primo sempre consentito in quanto di origine vegetale, gli altri soggetti a restrizioni durante i periodi di magro poiché derivati da animali. Lo studioso ci suggerisce come, proprio per intervento della Chiesa, lo statuto dei singoli grassi (olio/Mediterraneo - lardo, burro e strutto/popoli del Nord) perda le forti connotazioni sociali e culturali, se non etniche, tipiche dell'era precedente. Vi è presente quindi, a livello geografico e trasversalmente in molte zone d'Europa, una sorta di "appiattimento" nelle usanze di cucina. Ce ne faremo una ragione se, secoli dopo, Ildegarda di Bingen sosterrà che:

L'olio non è di grande utilità per mangiare: se se ne utilizza nel cibo provoca nausea e rende gli altri alimenti sgradevoli da mangiare. Tuttavia è utile per molte preparazioni medicinali.

In questo contesto culturale arriveremo, intorno al XIII secolo, alla realizzazione del primo ricettario dell'Europa cristiana, quel Liber de coquina che regalerà molto spazio all'utilizzo del pesce e alle ricette quaresimali, prevedendo addirittura varianti di magro per le preparazioni destinate ai giorni di grasso.

Invasioni barbariche



 




Commenti

Post popolari in questo blog

Tra natura, cultura ed etno-antropologia. Il triangolo culinario di Claude Lévi-Strauss

Il Capitulare de villis: la quotidianità nella società agraria carolingia - Prima parte

Senso del gusto, cultura e pratiche gastronomiche tra Medioevo e Rinascimento