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Visualizzazione dei post con l'etichetta Le grandi tradizioni.

Ricette di guerra e di povertà: la minestra "con la palla"

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Prima dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale la città di Livorno stava attraversando un periodo piuttosto florido da un punto di vista economico e sociale: dal 1937 i grandi gruppi industriali, che facevano riferimento al porto cittadino, erano fautori di una positiva ricaduta anche sulle attività dell'indotto poste all'interno del territorio. Molte aziende avevano a disposizione cospicui vantaggi economici per poter operare, pensiamo alle attività della Motofides, la SA manifatture toscane, la Genepesca, la Tubi Bonna, la Richard Ginori, la raffineria Anic, tanto per citarne alcune. I danni che la città subì ebbero una triplice natura: quelli provocati dai bombardamenti alleati, quelli realizzati dalle truppe tedesche successivamente all'8 settembre 1943 ed in ultimo quelli dovuti all'occupazione alleata dopo la ritirata dell'esercito tedesco. Eredità pesanti, nella città labronica: un centro storico irriconoscibile, il reticolo industriale portuale, fiore a

La civiltà del castagno e l'albero del pane: le armelette

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Garfagnin della Garfagna, se tu non avessi la castagna moriresti dalla famma! Anonimo L'antropolgia alimentare, la scienza che studia il cibo in relazione agli aspetti storici, sociali e psicologici, così intimamente connessi all'evolversi del "senso del gusto" nei secoli, molto spesso mette in stretta relazione alcuni elementi specifici della natura con i vissuti (le sorti) delle popolazioni che abitano le zone di periferia interne: dove l'arte di arrangiarsi era assoluta e tragica quotidianità, alle volte capitava di elevare ad una sorta di "semidei" delle piante o degli alberi che, con la loro generosità, potevano fare la fortuna o meno di interi villaggi. E' il caso dell'albero del castagno, non a caso denominato "albero del pane", assolutamente indispensabile per intere generazioni di contadini. Nella zona compresa tra Garfagnana e Lunigiana, ma non solo lì, durante i secoli si è sviluppata una sorta di "civiltà del castagno&q

Nel Mediterraneo: la palamita incontra la scapece

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Mediterraneo. Fino ad una ventina di anni fa la palamita, carne decisamente soda e particolarmente saporita, simile al tonno rosso, era totalmente snobbata dalla tradizione gastronomica italiana, utilizzata a malapena al sud per essere messa sott'olio; al contrario i giapponesi ne sono ghiotti da sempre, la pongono al posto d'onore per la realizzazione del tradizionale sashimi, oggi tanto popolare anche in Occidente. E' servita l'opera di Slow Food e Pietrangelini per nobilitarla e portarla all'attenzione dei molti. Un tempo i pescatori utilizzavano le mitiche palamitare per catturare il pesce, reti a maglie assai larghe lasciate in mare ad aspettare i banchi e rasenti il pelo dell'acqua, fino ad una decina di metri verso il fondale; oggi, tempi moderni, vengono adoperati quasi esclusivamente i sonar e le maglie dei singoli pescherecci. La palamita è un pesce assai "sociale", si sposta in gruppo assieme ad altre razze come cefali, sardine, acciughe e s

Nel cuore di Firenze: la ribollita

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Attivo agli inizi del ‘900, Alberto Cougnet fu poligrafo, scrittore e giornalista. Nel suo monumentale “L’Arte cucinaria in Italia”, pietra miliare dei trattati di inizio secolo con oltre 4376 ricette suddivise per tipologie in 18 capitoli, fa uso, primo su tutti, della parola “ribollita”. Una zuppa assai similare in ingredienti e preparazione rispetto alla ricetta contemporanea, oggigiorno simbolo culturale non solo di Firenze, era presente già nell’Artusi di fine ‘800, ma veniva denominata dall’autore come “zuppa toscana di magro alla contadina”, con aggiunta di cotenne di “carnesecca”: “Questa zuppa, che per modestia si fa dare l’epiteto di contadina, sono persuaso che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione.” Nel trattato teorico del Cougnet del 1910, al volume I, il poligrafo ci palesa appunto per la prima volta in assoluto il termine “ribollita”, inquadrandola territorialmente e storicamente nel lembo di terra compreso tra Toscana e Marche: “Ne

Variazioni sul tema: impannata di pesce alla livornese

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Un altro piatto tipico della tradizione gastronomica livornese sono questi strepitosi tortelli di pesce fritti, assai poco battuti, meglio conosciuti come "impannata di pesce". Sulla rete troviamo due o tre versioni, io propongo una rilettura tratta dal manuale del Petroni, permettendomi delle piccole modifiche: strutturerò sostanzialmente in una sorta di "acquapazza modificata", metodo di lessatura in poca acqua che sublima il vero gusto dei pesci, sia lo scorfano che la gallinella; si regalerà così una intensità maggiore al tutto una volta formati e fritti i tortelli. Altra variazione: non ho utilizzato l'acciuga sottosale ma semi di finocchio e capperi, più delle borettane. IMPANNATA DI PESCE ALLA LIVORNESE, per 6: Per l'acquapazza: - Uno scorfano assai grande - Una gallinella assai grande - Abbondante prezzemolo - 3 spicchi d'aglio - Del pepe nero in grani - Olio evo, sale e pepe Per l'impannata, sfoglia: - 600 gr. di farina 00 - 6 cucchiai d'

Il bordatino alla livornese, vanto labronico

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Fagioli rossi, cavolo nero e farina gialla. Il bordatino alla livornese, gloria gastronomica labronica per eccellenza, è testimonianza autorevole del vissuto popolare cittadino; l'origine della ricetta è da ricercare nel mare magnum delle tradizioni relative alla cucina povera, verace come poche. Alcuni lo eleggono a primissimo simbolo culturale della città, ancor più del magnificente cugino cacciucco. In cucina avanzava sempre qualcosa dal giorno prima, sicché, cuocendo grandi quantità di fagioli rossi, alle volte si poteva riutilizzare il brodo di cottura nei giorni a seguire; in una pentola di terracotta si preparava una polentina di farina gialla, assai liquida, rimestando bene bene; a quest'ultima veniva aggiunto appunto il liquido dei legumi, denso. Nella "melma vischiosa" che si veniva a creare le due entità dialogavano, il brodo scuro tracciava delle righe nella farina gialla, ecco qui il richiamo al "bordatino": ci si riferiva ad un tessuto di coton

Involtini di verza: massima resa, minima spesa!

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Parte ufficialmente la stagione dei cavoli e affini, pure la "stagione del cavolo", visti pioggia e vento. In orto-frutta troneggiano i cugini: broccoli, cavolfiori, il romanesco, il violetto, con il quale feci un vialone nano con noci Pecan e taleggio da leccarsi letteralmente i baffi, la verza. E poi c'e lui, re dei re, almeno per me, l'adorato cavolo nero, protagonista del mio amato bordatino alla livornese. Insomma, se anche la ribollita chiama, noialtri risponderemo a breve. Zuppe e minestre: apriti cielo! Nel frattempo mi sono perso in un classico, gli involtini di verza, che magari possono pure fungere da aperitivino se farcia e consistenza risultano un poco meno impegnative. I cultivar sono assai numerosi, specifici di determinati territori, sicché la reperibilità delle varie tipologie di verza non è uniforme su tutto il territorio nazionale, non è ovviamente garantita: il Violaceo di Verona, il Vetus, il Monarch, il S. Martino d'Asti, il Montalto Dora, Wi

Pomodori col Riso

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 Dialogo di Giorgia più o meno piccola, sua mamma Peppina e sua zia Lina: G: Mbè ssu!!! E fammijiiii!!! P: Ma mo m'ada fa appiccià i furnu co' 'sso callo?!?!?! G: Ma so' boni!! A me me piacianu!!! P: E vabbè! Tocca! Va da zia Lina, sta a fa i pummidori sott'a casa de nonna, diji se ti ji fa mette sott'aju foco colla tiella. (Giorgia vola giù dalle scale di casa e poi ancora giù per le scale del paese fino a raggiungere casa di sua nonna, in fondo al paese, dove trova zia Lina) P: ZIA LIIIIIIII!!!!! Ha 'ittu mamma se cci ji fa mette 'a tiella eji pummidori coju risu sott'alla racia!!! L: Ha da fa' i pummidori coju risu?!?! Allora vè qua, tè! Pija 'ssa canestra 'e pummidori, di' a mammota che 'i pummidori ci ji do io, ma che mi j'ha da fa' pure a me e ji mettemu tutti ecco! Oh, però me ll'ha da fa' resapì si ji fa! (Giorgia, con il canestro di pomodori e la teglia di zia Lina, risale, molto meno velocemente dell'

Il tesoro delle Alpi Apuane: Colonnata, il suo lardo e l'autunnale struedel

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Mi trovo spesso a terminare gli avanzi del frigo dopo aver creato delle ricette un poco più strutturate. Immancabili loschi figuri, si interrogano arcigni su come potranno essere utilizzati. Ho approfittato di un autunno oramai entrato prepotentemente nel vivo per una ricettina cool adatta proprio ai primi freddi di inizio stagione. Il lardo è la parte grassa del maiale, quella che si trova attaccata alla cotenna; in genere si produce dalla spalla o dal dorso. Se invece utilizzassimo le parti interne, maggiormente grasse, produrremmo lo strutto. Un processo di salatura e stagionatura di diversi mesi porta alla realizzazione del lardo e, nel caso venga affumicato, prenderà il nome di lardone. Le tradizioni contadine di un tempo lo vedevano protagonista dei battuti (oggigiorno questo impiego è accantonato per i più salutari olio e burro), nonchè soventemente adoperato, utilizzando il mitico "lardatoio", per "vestire" la carne prima delle lunghe cotture. 532 metri, Col

Identità e scambi culturali: le tomaselle lunigianesi

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Mari tempestosi, abbondanti piogge e venti impetuosi. In questo prepotente inizio d'autunno, che ci ha colti assai impreparati, mi è particolarmente proficuo approfondire gli aspetti dell'antropologia alimentare, intesa come elemento storico e socio-culturale di territori ed aree geografiche specifiche; aspetti che assumono però una impronta fortemente "trasversale" a tutta la penisola italiana. Identità e scambio: questi sono i concetti cardine delle opere di Massimo Montanari, saggista, docente di Storia e Cultura dell'Alimentazione presso l'Università di Bologna. Ogni regione italiana possiede certamente una sua specificità zonale per quanto concerne la tradizione gastronomica, ma il valore dell'identita territoriale è grandemente accompagnato dal concetto di "scambio", ricchezza aggiunta, nella misura in cui certi ingredienti, certe preparazioni, certe modalità di cottura, certi saperi e "vissuti" (unitamente alle vicende storiche)

Nobilitare la zucchina: il buglione

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Diciamocelo francamente: cosa c'è di più ovvio e scontato della zucchina, magari lessata in acqua? Addio! Evidentemente a Vicchio di Mugello, molto tempo fa, trovarono il modo di nobilitare questo tipo di verdura dal gusto non particolarmente incisivo, tanto da farla diventare una gloria paesana. La ricetta è caratteristica di questo paesello della Toscana, ma se ci spostiamo in alcune zone del Fiorentino più vicine alla valli interne troviamo delle leggere varianti in ingredienti e preparazione, tanto che altrove le chiamano semplicemente "zucchine al sugo". Buglione sta per "alla rinfusa, sensa senso". Ciò deriva dall'aspetto assai particolare che prende il piatto una volta pronto: sembra di aver gettato lì in padella due o tre cosette, una botta di fiamma e via. Ed invece scopri, come è da tradizione nella più verace cultura gastronomica contadina, che puoi fare un signor piatto anche con nulla, o quasi. Eravamo poveri in canna, ci si adattava alla ciclic

Il mood settembrino della zucca: la vellutata

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"Embhè? Che vuoi? Che si fa?" Avanzi del frigo Citazione doverosa, poichè è questo che spesso ci "dicono" gli avanzi, pullulando sovente nel nostro frigo. Con fare arcigno, accigliati e scostanti, si interrogano su come potranno essere utilizzati. E noi si parte dal presupposto che, in cucina, non si deve buttare via mai nulla, è un imperativo morale: è possibile realizzare un signor piatto anche con le ultime rimanenze. Nel processo di rivalutazione di alcune pietanze ho tentato la sorte con la zucca, che devo dire mi restava assai antipatica ed impegnativa. Fino ad ora. Sperimentata pochi giorni fa la mitica (e poetica per quanto concerne la resa al palato) Trusca di Casoli, tortino di verdure cotte in forno, scrigno di inaspettato sapore, mi sono imbattuto nella classica vellutata, cercando di bilanciare il gusto certamente entrante della zucca. Settembre. Si palesano dei timidi assaggi, flebili accenni di una stagione che bussa alle porte: il ritrovato ed intens

La trusca di Casoli, eterno splendore di semplicità

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In questi mesi di studio e di ricerca continui che mi hanno portato a creare il sito, inteso principalmente come potpourri di spunti che possono tornare utili, mi sono sovente impegnato nello scandagliare quella magnificente realtà che è la Lunigiana, terra di mezzo, regione storica sita tra alta Toscana e Spezzino, portatrice e rivelatrice di grandi tradizioni gastronomiche che spesso si intrecciano con le vicende più prettamente storiche di tali territori. Una meraviglia poter scoprire autentiche chicche. Ed ecco i matuffi, la mesciua, la barbotta, la marocca, la scarpaccia, il migliaccio, l'arbadela, la garmugia, la torta coi becchi e la baciocca. Settembre. Si palesano dei timidi assaggi, flebili accenni di una stagione che bussa alle porte: il ritrovato ed intenso fresco mattutino, i primi temporali prolungati, i cieli tersissimi liberi da afa opprimente accompagnano anche un cambio assai sostanzioso per quanto concerne la stagionalità di frutta e verdura. Giallo intenso, polp

Il merluzzo alla livornese ed il fascinoso Signor Estragone

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"Salve! Mi chiamo Artemisia dracunculus , appartengo alla famiglia delle Asteracee, ma siccome tutti si scordano sempre questo difficile appellattivo, tranne gli studiosi di botanica, quando siete in cucina fatemi un fischio veloce veloce ed arrivo subito: "Estragone!". Se potesse parlare, il Signor Estragone, meglio conosciuto come dragoncello, probabilmente si rivolgerebbe a noi in questi termini molto friendly: sa di piacere, quindi, fascinoso com'è, ci tenterà in mille modi cercando di carpire il nostro interesse tra i fornelli. Le credenze popolari nordiche (Russia e Siberia) gli hanno attribuito questo nome tutto particolare: è dibattuta la storia, non si sa quanto vera, che questi popoli credessero fortemente nelle proprietà taumaturgiche del dragoncello per curarsi dai morsi dei serpenti velenosi. Qui in Italia, se ci va bene, possiamo trovare il Signor Estragone solo in alcune zone del Piemonte, cresce spontaneamente nei territori un pochino più freddi del n

Nella Strada del Vino: il castagnaccio di Castagneto Carducci e non solo

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"Un paese che da sempre si chiama Castagneto non può tollerare che uno sconosciuto Pilade da Lucca si vanti di essere il padre del castagnaccio, anche se garfagnino!" Luciano Bezzini.  Il primo freddo intenso, la ritrovata pioggia mi portano velocemente a interrogarmi su cosa sarà il mio autunno in cucina. Tra noi toscani ci si "piglia" un poco, tutti pronti a difendere il proprio campanile, la propria tradizione, anche le fierezze gastronomiche locali.  Se uno pensa al castag naccio toscano pensa alla fascinosa Garfagnana, ovviamente. Ebbene, anche Castagneto Carducci, a sud di Livorno, ha la sua versione, tanto fieramente sbandierata. Si hanno notizie di questo paese sin dal 754 D.C. ed è quindi ovvio che le colline intorno fossero ricoperte da fitte castagnete, lo desumiamo anche da diversi documenti storici. Il Benzini addirittura ci rivela che nel 1901 erano più di duemila i castagni censiti nella tenuta dei Della Gherardesca, meticolosamente nu

Falafel rivisitati. Mezzo pianeta… nel piatto!

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Presi dalla frenesia degli ultimi scampoli di ferie, a sguazzo tra le onde del mare o assaporando il fresco dei sentieri alpini, possiamo trovare del tempo per preparare una ricetta veloce veloce che... adoro; quintessènza della cultura mediorientale, fiera bandiera storico-gastronomica di mezzo mondo, il falafel ha spopolato anche tra noialtri occidentali europei. Io ho approfittato pure di uno svuotafrigo (visto che c'ero), permettendomi delle piccole varianti. Polpettine fritte così versatili che si prestano ampiamente anche ad imbellire un aperitivino serale di fine estate. Se addentiamo i falafel e chiudiamo gli occhi le "immagini" ci portano con prepotenza in mezzo al tumulto chiassoso dei mercatini del Medio Oriente, le strette viuzze profumate di spezie e strabordanti di sgargianti colori. Ceci, fagioli o fave: le varianti sono assai battute tra Giordania, Egitto, Siria, grandemente in Israele, Palestina e Libano. Quel che non deve mancare è la presenza generosa d

Suppli' "ar telefono"

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  Quando si lascia definitivamente la propria città natale per lavoro, amore o qualsiasi altra ragione, ci si porta, ben chiusi nel cuore, ricordi di profumi, di colori e di sapori che ci hanno accompagnato nella vita. Una romana come me, porterà sempre con se, tra gli altri, il ricordo del gusto inimitabile dei supplì, e invano lo ricercherà fuori da Roma, perché oltre i confini laziali, i supplì sono una pietanza praticamente sconosciuta. Inzomma, si me viè vojia de supplì, me tocca zozzamme le mano e fammeli. Il supplì, (o LA supplì, come lo definisce Ada Boni nel suo La cucina romana del 1929) è una sorta di grossa crocchetta di riso fritta panata con un cuore filante di fiordilatte, da non confondere MAI!!!! con i pur buonissimi, ma figli di tutt'altra tradizione e tutt'altra terra, arancini siciliani (o arancine, a piacere). Il termine supplì deriva dalla storpiatura, nel tempo, del termine francese sourprise , sorpresa, dovuto proprio a quel filo di mozzarella che, s

Ricette in... rima. Lo stufato alla sangiovannese

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Rifiutando ampiamente il concetto del “cosa si mangia d’estate e cosa d’inverno”, ho tentato la strada di una ricetta tipica di San Giovanni Valdarno, popoloso comune situato in provincia di Arezzo, vicinissimo a quella di Firenze. Risultato piuttosto interessante e degno di particolare riguardo. Eletto a fiero trionfo culturale paesano, con specifico marchio di qualità attribuitogli, sono rimasto assai colpito dalle vicende legate a questo piatto, un misto di leggenda e verità; interessante inoltrarsi nella storia, scoprire come è stato creato ed inglobato nella grande tradizione gastronomica del paese. Alcuni fatti storici, con le sempiterne varianti del caso più o meno quotate, ci portano indietro nel tempo. Non poco. Molto tempo fa, un autore ignoto, scrisse un ciclostilato utilizzando rime particolarmente simpatiche ed originali per descrivere l’origine della ricetta, che viene addirittura celebrata in un annuale “palio” ad hoc, gara dove si elegge il miglior stufat

Torta di riso, agrumi, cannella, Sassolino e Pampero

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  Della serie: è stata una settimana infernale ma vuoi comunque trovare il tempo per cucinare. Colpevole è stata una rimanenza assai consistente di originario, tipo di riso che si presta grandemente alla preparazione dei dolci. Ho tentato una via di mezzo tra la nostrana (e mitica) torta di riso massese, che prevede un uso veramente spropositato di uova e la classica torta degli addobbi di Bologna. Massesi contro carrarini: a nord della Toscana la diatriba è piuttosto antica e vissuta, un poco come livornesi e pisani, pisani e lucchesi. Anche in cucina. Con una primogenitura discussa, questa torta assai pregiata contempla l’utilizzo di un numero piuttosto ampio di uova; la sua caratteristica è il tipico “budino”, strato particolarmente morbido, vellutato, alto diversi centimetri e formato da uova e latte; il tutto si poggia delicatamente su un letto di riso precedentemente cotto. Sovente vengono utilizzate delle caramelle di menta fatte sciogliere poco prima nel latte o