Nel Mediterraneo: la palamita incontra la scapece
Mediterraneo. Fino ad una ventina di anni fa la palamita, carne decisamente soda e particolarmente saporita, simile al tonno rosso, era totalmente snobbata dalla tradizione gastronomica italiana, utilizzata a malapena al sud per essere messa sott'olio; al contrario i giapponesi ne sono ghiotti da sempre, la pongono al posto d'onore per la realizzazione del tradizionale sashimi, oggi tanto popolare anche in Occidente. E' servita l'opera di Slow Food e Pietrangelini per nobilitarla e portarla all'attenzione dei molti.
Un tempo i pescatori utilizzavano le mitiche palamitare per catturare il pesce, reti a maglie assai larghe lasciate in mare ad aspettare i banchi e rasenti il pelo dell'acqua, fino ad una decina di metri verso il fondale; oggi, tempi moderni, vengono adoperati quasi esclusivamente i sonar e le maglie dei singoli pescherecci. La palamita è un pesce assai "sociale", si sposta in gruppo assieme ad altre razze come cefali, sardine, acciughe e sgombri, di quest'ultimi è particolarmente ghiotta.
Animale sfuggente e veloce, la palamita ha un corpo assai affusolato, fatto apposta per scattare dietro a prede guizzanti; la riproduzione avviene in tarda primavera, quando si avvicina alla scogliera per deporre le uova.
"Scapece" è un termine di origine spagnola, deriva da "escabeche", ed è una particolare preparazione per pesci e verdure, simile al carpione toscano e piemontese ed al mitico saor veneto. Presentissima oggigiorno principalmente nell'Italia meridionale, con numerose versioni assai diverse tra loro, si basa sostanzialmente sulla frittura dell'alimento in olio d'oliva e sulla sua successiva marinatura all'aceto, menta, vino, pepe, alloro o zafferano; nata come modalità di conservazione dei cibi, la scapece è divenuta poi una ricetta tradizionale.
Oltre alla centralissima menta, io ho utilizzato anche lo zafferano, assai comune nella "lettura" proposta in Molise e Puglia e, di quest'ultima regione, ho adoperato il pangrattato invece del pane e le cipolle, come il saor. Non la frittura del pesce ma una sorta di acquapazza rivisitata.
PALAMITA IN SCAPECE, per 4:
- 4 tranci assai spessi di palamita
- 2 cipolle bionde
- 4 spicchi d'aglio
- Abbondante pangrattato
- 1 bustina di zafferano in polvere
- Della menta essiccata
- Del prezzemolo
- Dell'aceto di mele
- Olio evo, sale e pepe qb.
Creare una sorta di acquapazza: in un'ampia padella porre due dita di acqua, due spicchi d'aglio, olio, del prezzemolo tritato fine e della menta; cuocere a fiamma bassa i tranci di palamita precedentemente salati e pepati, coperchiato per 20 minuti; girare spesso i lati per una cottura maggiormente uniforme. Tagliare sottilmente le cipolle e stufarle in olio con uno spicchio d'aglio tagliato a metà, aiutarsi con del brodo vegetale alla bisogna; appena risulteranno ben dorate e morbide eliminare l'aglio, salare e pepare. Tritare assai finemente l'ultimo spicchio d'aglio e creare un composto assieme all'aceto, al pangrattato, alla menta ed allo zafferano precedentemente diluito in acqua; salare e pepare, aggiungendo olio per ottenere sufficiente umidità e granulosità. Unire il composto alle cipolle e rimestare copiosamente. La scapece dovrà nappare i tranci di palamita che, preferibilmente, saranno consumati dopo qualche ora.
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