Edificando il nuovo. I contributi testuali di Maestro Martino e Bartolomeo Sacchi

Nella storia della gastronomia è abbastanza inconsueto che l’opera innovativa di alcuni cuochi venga da subito valutata positivamente con grande accoglienza di molti. De La Varenne, personaggio assolutamente rivoluzionario nel contesto della cucina del Grand Siècle di due secoli dopo, venne particolarmente osteggiato dai colleghi della seconda metà del ‘600 ed accusato di utilizzare preparazioni eccessivamente elaborate e pesanti. Oggi consideriamo l’opera del digionese ed il suo Le cuisinier françois i capostipiti della rinnovata cucina d’oltralpe. 

Non fu il caso di Maestro Martino, impostosi velocemente all’attenzione di una vasta fetta di pubblico ed al quale si riconobbe un forte spirito riformatore. Il Libro de arte coquinaria decretò la fine della obsoleta tradizione gastronomica medievale per forme e contenuti, pur tratteggiandone alle volte alcune sue caratteristiche, come le carni passate velocemente nell’acqua bollente prima di essere arrostite, l’utilizzo di pietanze colorate da spezie, quest’ultime certamente rimodulate nelle quantità, i classici contrasti agro-dolci, ora temperati dall’uso di zucchero, mosto e mandorle, solo per citarne alcune. Ma al contempo rappresentò un decisivo cambio di passo verso un nuovo sentire in cucina. Il ricettario, inserito nel più vasto trattato dietetico del Plàtina, venne preso a modello dalle generazioni di cuochi che seguirono rappresentando per diverso tempo l’unica fonte a stampa dalla quale attingere. 

Molti Autori rimarcano il concetto di “un prima ed un dopo”, relativamente al testo di Martino, sottolineando come adesso non si elencassero più le preparazioni in maniera frettolosa ma si regalasse al tutto una certa organicità strutturale. Il Libro de arte coquinaria presenta uno stile espositivo ed una completezza di linguaggio nuovi, i cibi sono volutamente ordinati in capitoli separati, omogenei - carni, brodi e minestre e paste, salse e condimenti, torte, uova e frittate, pesci -, viene specificato il numero ottimale di commensali in base alle quantità di ingredienti delle ricette, dettagliando le fasi di svolgimento delle stesse, i tempi di cottura e quale tipologia di recipiente risulti maggiormente adatta ad ogni alimento. Questa accurata regolamentazione dei procedimenti, assolutamente innovativa, era certamente figlia della grande sapienza pratica di Martino, una esperienza che delineò anche alcune novità da un punto di vista lessicale e terminologico. 

E’ un nuovo discernimento nell’attuazione delle pratiche, come quando Martino, in riferimento per esempio alla moltitudine di pietanze carnee, indica puntigliosamente quale modalità di cottura si addica meglio alle varie tipologie di taglio al fine di un massimale risultato organolettico. Vi è un allontanamento rispetto agli imperativi dietetici passati che imponevano cotture ben codificate per contemperare la natura degli alimenti. Il cuoco, professionista adesso autonomo ed intellettualmente indipendente, può muoversi più liberamente. 

Nell’arte di Martino permangono alcune caratteristiche della cucina medievale, ma adesso vengono proposti inusuali accostamenti di ingredienti e soluzioni alternative a quelle della prassi precedente, conferendo un’impronta inedita anche alle ricette della tradizione passata, qui riproposte in discreto numero. Nel Libro vi è una continua volontà di allargare e valorizzare l’ampia varietà degli alimenti italiani, che si tratti di pesci, carni, verdure, frutta o le sempre più presenti erbe odorose. De Rubeis delinea cambiamenti nella tradizione, adattandosi allo spirito del tempo: ecco allora che la classica salsa camelina, per esempio, si distacca dalla formulazione trecentesca del Liber de coquina e viene ispessita con sapa e uva passa, chiodi di garofano e noce moscata; il biancomangiare diventa una salsa bicolore per nappare i capponi e non è più definita “minestra”, come indicato nell’Anonimo Toscano; il burro contraffatto dell’Anonimo Veneziano, utilizzato per i giorni di magro ed ottenuto con il latte di mandorle, viene qui modificato aggiungendo zafferano, acqua di rose e farina di riso. 

I titoli delle ricette non rimandano più alle preparazioni della tradizione araba e francese (festiggia, malmonia, brodo saracenico, caldume, cialdiello, ecc…), ma sono presenti termini che derivano dal lessico spagnolo, quali mirause e carabaze. «Non si tratta più qui, come abbiamo visto in precedenza, solamente di scegliere e porre in un tegame i vari componenti e farli semplicemente cucinare; al contrario, qui per la prima volta il cuoco esegue una sequenza di operazioni successive sulla base di un predeterminato schema logico» (Benporat). Questa citazione è molto, molto eloquente! 

L’opera di Maestro Martino e la sua cucina vennero dunque rimodulate, espanse e proiettate in una dimensione più compiutamente moderna grazie alla lettura messa in atto dall'umanista e primo direttore della Biblioteca Vaticana Bartolomeo Sacchi nel suo De honesta voluptate et valitudine. Un trattato che, in pieno spirito umanista, regalò al testo del cuoco ticinese una ben più vasta e solida struttura teorica. Il titolo stesso dell’opera di Sacchi ci suggerisce infatti gli intenti perseguiti dall’autore: trasformare il semplice ricettario martiniano in un'opera che sondasse anche gli aspetti più vari del vivere quotidiano, collegandoli al cibo, elargendo consigli di dietetica, di igiene alimentare e di stili di vita. «E’ proprio in questa prospettiva che un letterato umanista può occuparsi di argomenti quali il piacere del cibo».

L’operazione del Plàtina conferisce volutamente al Libro de arte coquinaria di Martino una perspicua valenza letteraria, ammiccando quindi a tutta quella cerchia di eruditi ed esigenti lettori che potevano accogliere favorevolmente la lettura del testo. Il cremonese traduce in latino le ricette del collega in maniera didascalica, imbellendole di aneddoti e digressioni nei quali si coglie tutto lo spirito umanista dell’autore, fine osservatore dei costumi del tempo. Il modello culturale di riferimento è ovviamente quello classico, greco e latino: gli scritti culinari di Varrone, Catone, Columella, Celio Apicio sono presi a paradigma per elaborare il trattato e presentarlo ai posteri, indicando agli uomini «la via della buona salute e del vitto sano, rispondente ad una vita decorosa ispirata al decor latino».

L’uomo deve attenzionare le varie tipologie di cibi da consumare, preferire quelle che si addicono maggiormente ai propri gusti e porre un occhio di riguardo alla teoria ippocratica dei quattro umori corporei, al fine di modellare la natura degli alimenti sull’umore prevalente. Il trattato di Bartolomeo Sacchi riscosse molto successo sin dalla prima edizione romana e si impose velocemente anche in Svizzera, Francia e Germania. Il De honesta voluptate et valitudine travalicò l’idea stessa di semplice ricettario di cucina, l’intellighenzia culturale europea si dimostrò pronta ad accogliere questa epocale rinascenza culinaria.



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