Cambi di paradigma a corte. La cucina francese del Grand Siècle. Prima parte

Il costume gastronomico e la cucina italiani vissero un periodo di pervasivo splendore durante tutto il periodo rinascimentale, in un'epoca dove sfarzo, ostentazione e potere erano i perni attorno ai quali ruotava la convivialità cortigiana. Queste contestualità furono prese come modello da seguire dalle altre corti europee. Un primato facilitato sicuramente dalla situazione sociale generale, seppur assai travagliata da un punto di vista politico. I fermenti artistici, letterari e mondani del '500 italiano furono d'ispirazione per le principale monarchie d'oltralpe. 

In questo quadro culturale, partendo dal De honesta voluptate et valetudine (1474) dell'umanista Platina, al secolo Bartolomeo Sacchi, primo ricettario della storia stampato a caratteri mobili che si ispirò all'opera di Maestro Martino e che raccolse un ampio successo nel continente, si definirono i principali poli d'attrazione, assieme alla coeva trattatistica. Pensiamo alla corte estense al tempo di Cristoforo di Messisbugo ed il suo Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale, dedicato a Ippolito d'Este e stampato nel 1549, pensiamo all'arte culinaria di Giovan Battista Rossetti per Lucrezia d'Este ed al suo Dello scalco del 1584. Particolarmente feconda, nel XV secolo Ferrara ospitò nomi del calibro di Pisanello, Alberti e vari artisti fiamminghi; musicisti di altissimo livello frequentarono la corte estense, come Desprez e Obrecht. Un secolo dopo ecco Ariosto e Tasso. 

La corte pontificia romana e Roma sono il secondo tassello fondamentale da inserire in questo contesto culturale; citiamo velocemente Michelangelo, Raffaello, Palestrina e tutto lo stuolo di pittori, letterati, poeti, architetti e musicisti che magnificarono il panorama culturale romano. Da un punto di vista dell'arte gastronomica si raggiunse il climax con la presenza nelle cucine vaticane del più rinomato cuoco rinascimentale, Bartolomeo Scappi, a servizio presso Pio IV e Pio V. La sua monumentale Opera del 1570 rappresentò la summa dell'arte culinaria di quel secolo ed è a tutt'oggi considerata essere il più importante trattato rinascimentale. 

"Ogni cosa è magnifica, ogni piatto un incanto, ogni vivanda un saggio d'artista". Spostandosi in avanti nel tempo, in un contesto generale che stava ovviamente mutando a favore del modello gastronomico francese, come non citare lo sfarzo e l'ostentazione della corte mantovana dei Gonzaga che raggiungerà il suo apice grazie al magistero di Bartolomeo Stefani, influente cuoco e scalco bolognese: tra regali aparamenti e stupendi trionfi di zucchero simbolici, sono celebri i suoi tre banchetti allestiti alla vigilia di Natale del 1655 per la regina Cristina di Svezia ed offerti da Carlo II di Gonzaga-Nevers, uno dei quali dettagliatamente descritto nella sua opera L'arte di ben cucinare del 1662. Eventi che hanno letteralmente delineato la storia del costume gastronomico di quel periodo.

Non si devono tralasciare altri contributi significativi sviluppatisi in ambito romano, come La singolare dottrina di Domenico Romoli, pregiata opera di scalcheria del 1560 ed il fondamentale Il trinciante di Vincenzo Cervio del 1581, che presenta l'arte del trinciare le carni e la complessa ritualità del rito conviviale del tempo. Usi e costumi nel banchetto rinascimentale italiano sono testimoniati anche dalla presenza di manuali di varia natura che descrivono lo status del perfetto cortigiano, come i celebri Il Cortegiano di Baldassare Castiglione del 1528 ed il Galateo overo de' costumi di Giovanni Della Casa, pubblicato postumo nel 1558.

Grand Siècle. A partire dalla metà del XVII secolo, particolarmente sotto il regno di Luigi XIV, assistemmo, gastronomicamente parlando, ad un graduale cambio di paradigma, letteralmente epocale: il modello italiano, che tanto caramente era stato accolto presso le corti europee rinascimentali, cedette il passo ad un sentire nuovo. Interprete principale di questo rinnovato clima in cucina fu il celebre cuoco digionese François Pierre de La Varenne, considerato essere colui che spalancò le porte alla cucina moderna. Egli fu a servizio di Maria de' Medici, seconda moglie di Enrico IV, re di Francia e successivamente operò per dieci anni nelle cucine del Marchese Duxelles, al quale dedicò il suo fondamentale Le cuisinier françois del 1651La Varenne illuminò letteralmente la gastronomia francese. Ma procediamo per gradi...

In Francia, dopo 150 anni di assoluto silenzio, dal 1651 si susseguì con eccezionale rapidità una vasta schiera di ricettari, testimonianza di un cambiamento apicale già in atto. Numerose riedizioni e traduzioni di molti trattati furono realizzate nel secolo successivo. Un breve accenno: nel 1651, come già citato, apparì Le cuisinier françois di de La Varenne, seguito dal suo Le pâtissier françois del 1653. Del 1656 è Le cuisinier di Pierre del Lune e del 1662 L'école parfaite des officiers de bouche di Pierre Ribou. Assai prolifico fu l'anno 1668 con la presenza di L'art de bien traiter di L.S.R. e Le nouveau et parfait cuisinier di Pierre de Lune, seguiti nel 1691 dal celebre Le cuisinier royal et bourgeois di François Massialot e da Le maison regleé di Audiger. L'estrema diffusione di questi manuali contribuì a esportare una precisa fisionomia culinaria ed un corpus di regole ben definiti, assieme ad una codificazione terminologica francesizzante. Al contempo la mania del cucinare alla francese prese largamente piede in tutta Europa.

Durante il magnificente regno di Luigi XIV tutta Europa subì il fascino della cultura francese e del raffinato stile di vita d'oltralpe, estremamente attrattivo: si parlava la lingua, ci si vestiva, truccava e acconciava alla francese. Sul versante culinario fondamentale fu la massiva diffusione in tutta Europa dei trattati culinari sopracitati, che contribuì notevolmente ad incrementare l'autorevolezza e la fama dei cuochi francesi. Il cucinare alla francese divenne gettonatissimo all'estero, modalità che si diffuse rapidamente fra le classi dirigenti. Al contempo i cuochi francesi trovarono sempre più possibilità di esercitare la propria professione presso le corti e negli ambienti aristocratici, in ogni paese europeo. A Vienna, alla fine del XIX secolo, i componenti della corte asburgica erano soliti mangiare alla francese, anche se Francesco Giuseppe preferiva la tipicità locale.

Francese, francese e francese! La parolina magica che rendeva immediatamente attrattiva ogni cosa. De la Varenne, nel suo fortunatissimo Le pâtissier françois, annotava:

Avendo appreso che gli stranieri davano accoglienza molto favorevole a certi libri nuovi che portano il nome Francese nel loro titolo, come Il giardiniere francese [...] mi faccio ardito e presento questo nostro Pasticciere francese che può dirsi il primo del genere, perché finora nessun autore [francese] ha dato la minima istruzione su quest'arte.

Altro elemento perspicuo che contribuì al successo dei ricettari francesi fu l'aver pensato questa nuova cucina anche per le tavole più modeste, per la borghesia. Sempre de La Varenne, nel suo Le cuisinier françois, proponeva piatti e consigli pensati non solo per gli ambienti aristocratici, ma anche per chi possedeva mezzi finanziari decisamente minori. Massialot, già nel titolo de Le cuisinier royal et bourgeois, palesava a chi fosse indirizzata la sua opera: il cuoco ideale si fregiava di tale appellativo se era capace di fare miracoli anche con mezzi ridotti e con alimenti più popolari. Nel trattato di L.S.R. si dispensano consigli per una maggiore razionalizzazione della dispensa in modo da evitare gli sprechi. Tutto ciò denota un nuovo concetto di egalité nel convivio, concetto che prese via via forma traducendosi in un nuovo approccio gastronomico delle cucine borghesi del tempo, prima ancora che nei circoli filosofici dell'epoca dei Lumi.

Ma in pratica, se parliamo di ingredienti e di preparazioni culinarie, che cambiamenti accorsero nel rinnovato modello francese? Il segno evidente di un progressivo allontanamento dal vissuto della cucina rinascimentale e medievale fu l'abbandono di molte spezie, così centrali nelle ricette dei secoli precedenti. Pensiamo al loro massivo utilizzo, per esempio, nei vini aromatici, nei dolci salati, nelle conserve e nelle pietanze carnee medievali. Nella Francia barocca assistemmo ad una netta rimodulazione, nelle quantità, di chiodi di garofano, zenzero, cannella, pepe, zafferano e noce moscata. Il minor interesse degli aristocratici francesi nei confronti delle spezie, a partire dalla metà del 1600, si può anche facilmente spiegare analizzando il mutamento di status della spezia stessa. Simbolo di potere e distinzione a corte fino a pochi decenni prima, poiché rara e costosa, il suo commercio subì un marcato incremento grazie a Inglesi e Olandesi, facendone abbassare il prezzo e rendendola maggiormente popolare. Le spezie, divenute quindi accessibili alle classi inferiori, non erano più degne di una cucina ricercata, esclusiva e costosa.

Con la limitazione delle spezie le erbe aromatiche entrarono di diritto nelle preparazioni della cucina francese. Per insaporire i piatti si cominciò ad impiegare copiosamente estragone, scalogno, cipollotti, rosmarino, basilico, timo, cerfoglio, alloro, menta, salvia, prezzemolo, borragine, erba cipollina, sanguisorba. Seguendo i dettami della medicina di stampo ippocratico-galenico, le erbe erano ritenute calde e secche e di stimolo per la digestione, proprio come le spezie medievali. Nei ricettari del tempo troviamo un gran ricorso a bouquet aromatici compositi, detti herbes fines, costituiti da estragone, cerfoglio, erba cipollina, sanguisorba e prezzemolo. Pierre de Lune massimizza il tutto con un sua personale lettura, un paquet d'assaisonnement:

Prendete un cipollotto, un po' di timo, due o tre chiodi di garofano, cerfoglio e prezzemolo, arrotolateli in una fetta di lardo e legate bene.

Un diverso approccio al gusto, quello francese, che allontanò progressivamente dalle mense aristocratiche altre contestualità, come le polente di cereali - semolini, pappe d'orzo, frumento, miglio e avena - tanto apprezzate nel Rinascimento. Un altro distacco dal modello alimentare precedente è da ricercare nel graduale disimpiego dello zucchero nelle carni e nel pesce. Tra l'altro la cucina francese medievale, rispetto a quella italiana, spagnola e inglese, era stata già assai parsimoniosa per quanto concerneva l'utilizzo dello stesso. Il progressivo disuso dello zucchero nelle preparazioni culinarie francesi richiese però molto tempo per attuarsi, poiché il suo utilizzo rimase centrale nelle ricette: pensiamo all'esorbitante numero di piatti che lo prevedevano come farcia nelle carni, nelle salse di accompagnamento, sparso sulla crosta delle torte salate per caramellarla o sciolto nel vino o nel burro e versato in timballi e pasticci. Un pasticcio alla cardinale de Le pâtissier françois ci viene in aiuto:

Prendete carne di vitello o di pollame cruda oppure sbollentata fino a metà cottura. Tritatela, aggiungete midollo di bue o il suo grasso, sale, pepe, pinoli, tuorli d'uovo e uvetta di Corinto. Versate tutto in una piccola tortiera foderata di pasta sfoglia e coprite con un coperchio di pasta. A metà cottura, estraetelo dal forno in modo da infilare un imbuto nel centro e versatevi un bicchiere di una salsa dolce fatta di burro fuso, zucchero e cannella. Poi rimettete tutto in forno.

Col tempo però i piatti dolci furono inseriti tra le portate dell'ultimo servizio, gli entremets, i quali precedevano il dessert a base di frutta, conclusione definitiva del pasto.

Altre reminiscenze medievali e rinascimentali furono accantonate, come il gusto per l'acidulo, tipico della cucina di pochi secoli prima. L'utilizzo di aceto, agresto e vino bianco si affievolì dando spazio ad un loro "ammorbidimento" con burro e acqua. Mutamento piuttosto significativo a livello culturale, poiché l'aceto, assieme al sale, era stato considerato per molto tempo un potente disinfettante per il cibo. Una fine ingloriosa attese i tanti scenografici animali, cigne, gru, aironi, cicogne, pavoni, così apprezzati nelle ormai lontane imbandigioni rinascimentali. Nuovi protagonisti entrarono nelle cucine francesi dalla porta principale, come polli, tacchini, capponi, agnelli e piccioni.

Alla base della rinnovata cucina francese del Grand Siècle vi erano anche bouillon, juscoulis e roux. Ma ciò sarà il tema di un prossimo articolo, assieme agli strabilianti e magnificenti banchetti barocchi.



 


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