(Falsi) miti: dalla pasta di Marco Polo ai cuochi di Caterina de' Medici in Francia. Seconda parte

Un poco come per "la pasta portata in Occidente da Marco Polo", anche su Caterina de' Medici è stato scritto erroneamente molto circa il presunto e massivo trasferimento in Francia della fiorente cultura gastronomica fiorentina, precursore dell'egemonia francese seicentesca in cucina. Seguendo la tradizione del mito, ampiamente diffusa, l'arrivo di Caterina in terra d'oltralpe ed il suo propizio matrimonio nel 1533 a Marsiglia con il futuro re di Francia Enrico II di Valois avrebbero posto le basi per una sorta di passaggio tout-court dell'arte gastronomica in terra francese, conferendo alla cucina di questa nazione quella eleganza e quella raffinatezza alle quali gli italiani erano già abituati da molti lustri. Prodotti, ricette e cuochi (fantomatici) italiani in trasferta... Niente di più falso.

Molti storici della gastronomia hanno da tempo sottolineato come questa diffusa credenza sia assolutamente priva di fondamenta e quanto debba essere altresì funzionale alla verità storica l'analizzare i fatti con maggiore cautela, seguendo passo passo gli sviluppi che hanno contribuito alla nascita del mito delle origini.

Ecco un brevissimo excursus. Caterina nacque in quel di Firenze nel 1519 da Lorenzo de' Medici duca di Urbino e da Madeleine de La Tour d'Auvergne, una nobile francese. Entrambe i genitori la lasciarono orfana praticamente da subito. La piccola venne posta sotto l'ala protettrice di alcuni parenti, tra cui due papi, Leone X e Clemente VII. Nel 1533 fu concessa in sposa a Enrico duca d'Orleans, secondogenito del re Francesco I: un matrimonio politico realizzato durante le Guerre d'Italia del XVI secolo. D'altronde le mire espansionistiche dei francesi nei confronti dell'Italia necessitavano di una sorta di equilibrio tra le parti. Il fratello maggiore di Enrico morì e Caterina divenne Delfina di Francia, mentre alla dipartita di Francesco I fu regina accanto al marito, salito al trono con il nome di Enrico II. Successivamente alla morte del marito nel 1559 ben tre dei suoi figli diverranno a loro volta re di Francia. 

Dunque, andiamo ad analizzare il fatto storico che ci interessa. Il punto centrale, al fine di una corretta narrazione degli eventi, deve essere ricercato nel fatto che già prima dell'arrivo in Francia di Caterina la cucina autoctona era abbondantemente condizionata dal modello gastronomico italiano, enormemente influente in gran parte dell'Europa del XVI secolo. Non a caso in questo periodo si diffuse la versione francese del 1505 di un importante manuale quattrocentesco, testo che comprendeva anche norme dietetiche e notazioni storiche: tradotto dal medico Didier Christol, il De honesta voluptate et valetudine dell'umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Plàtina, godeva di una certa notorietà in Francia con il titolo di Platine en Francoys. L'opera platiniana, ricettario e trattato rinascimentale di ragguardevole rilevanza, inglobava anche la traduzione in latino, dal volgare, dell'altrettanto fondamentale Libro de arte coquinaria di Maestro Martino da Como. 

Il presunto legame di Caterina col cibo, nei suoi quasi 70 anni di vita, lo si deve ricercare unicamente nella presenza di alcune cronache spicciole, perlomeno per quanto concerne un suo rapporto diretto con esso. Un invitato, presente ad un matrimonio avvenuto il 19 giugno 1575, ci narra di una Caterina intenta ad ingurgitare una quantità veramente abnorme di pietanze: la Medici tra l'altro incorse in una tragica indigestione, causata dell'eccessivo consumo di una torta di fondi di carciofi e frattaglie di galli. Ed ancora sono a disposizione testimonianze di alcuni ambasciatori che la vedono ingrassare nel corso del tempo. Per non parlare poi del fatto che siamo certi, grazie a scrupolose ricerche d'archivio relative al personale a servizio di Caterina dal suo arrivo in Francia fino alla morte, dell'assenza di questi fantomatici e numerosi cuochi italiani tanto sbandierati dal mito. Insomma, qualche garzone di seconda mano o poco più.

Per comprendere tramite quali fonti si sia generato il mito bisogna attendere più di un secolo dopo la morte di Caterina, quando, in una primissima fonte scritta, un testo realizzato nel 1719 per mano di Nicolas Delamare, commissario di Polizia, troviamo un'attestazione del fantomatico legame tra la Medici e la cucina italiana in Francia. Il manuale sul buon funzionamento di una grande città di Delamare riporta il seguente passaggio:

[...] Italiani che seguirono Caterina de' Medici e portarono in Francia gli usi culinari del loro paese, unitamente ad alcuni liquori.

La maggior parte degli storici sono però concordi nel far risalire l'origine della falsa notizia a due testi realizzati pochi anni dopo, nello specifico un libro di cucina dal titolo Les Dons des Comus scritto da François Marin, edito nel 1739, ed un altro dal titolo Suite des Dons de Comus del 1742. Le prefazioni dei due libri sono affidate ad alcuni intellettuali dell'epoca: nel primo caso due gesuiti esperti di storia della cucina, Pierre Brumoy e Guillaume-Hyacinthe Bougeant, asseriscono che, pur non evocando la Medici direttamente, siano stati gli italiani ad insegnare l'arte culinaria ai francesi. Nel secondo caso, nella Suite, il letterato Anne-Gabriel Meusnier de Querlon dichiara che «l'eccessiva raffinatezza a cui si è giunti nella cucina francese è da ricercare negli usi e costumi che i francesi fecero propri grazie agli italiani durante le Guerre d'Italia.»

Caterina fa la sua regale entrata ufficiale poco dopo.

Basandosi sul "solido" substrato messo a disposizione tramite il testo di Delamare, due specifiche voci dell'Encyclopédie illuminista tratteggiano un legame ancora più stretto tra gli elementi costituenti la triade Caterina-cibo italiano-Francia, instillando con estrema facilità fallaci certezze nei vari strati sociali. Il primo riferimento è da ricercare nel testo intitolato Assaisonnement (Condimento), del 1751. L'autore, presumibilmente Denis Diderot, afferma come la lussuria e l'eccessiva raffinatezza in cucina siano sempre state nelle mire dei sovrani francesi, i quali tentarono più volte di impedirne il dilagare, fino all'avvento di Enrico II, quando

[...] I cuochi abili cominciarono a divenire uomini importanti, colpevole la folla d'Italiani voluttuosi che seguì Caterina de' Medici alla corte.

Tre anni dopo, sempre nell'Encyclopédie, Chevalier de Jaucourt asserisce quanto segue:

[...] Allora i cuochi d'oltralpe vennero a stabilirsi in Francia.

Aggiungendo che:

Una folla di Italiani corrotti imperversa, tutti al servizio presso la corte di Caterina de' Medici.

Ed ecco che, con estrema semplicità, il mito assurge a piena verità storica, crea un proprio valore sociale e ammanta la credenza popolare anche nei tempi a seguire. Basta citare i dizionari di Carême e Grimod de la Reynière, i quali riprendono a man bassa la "verità" dell'Encyclopédie. Quest'ultimo, nello specifico, ispiratore del Journal des gourmands, nel 1807 riporta la citazione, ma con una valenza assolutamente positiva, affermando che il cambiamento degli usi di cucina francesi è dovuto al contributo "dell'illustre regina" ed alle sue grandi doti. Spostandosi nel XX secolo, altri manuali di rilievo esaltano i fantomatici cuochi italiani di Caterina. E' il caso di The Art of Eating di Mary Frances Kennedy Fisher con il suo capitolo dal bizzarro titolo Catherine's Lonesome Cooks.

In chiusura ecco alcuni nomi dei "cuochi italiani" di Caterina citati in svariati testi di alcuni autori: largo alla fantasia! Il Signor Popelini/Pastarelli/Pasterelli, attestato per la prima volta nel 1890, è inventore dei poupelins, tipici dolcetti di pâte à choux; Giovanni Pastilla invece è l'ideatore di alcune deliziose caramelline; il Signor Berini è dedito alla riscoperta delle salse; presente addirittura il Signor Cesare (o Pompeo) Frangipane, inventore della classica crema frangipane, della quale chi scrive è particolarmente ghiotto. Il suddetto "sarebbe stato" addirittura un importante cuoco (o un nobile esperto di cucina) al seguito di Enrico III di Valois, figlio di Caterina!

Non c'è che dire: ogni mito presenta il suo fascino. E perdura...



 

 


 





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