(Falsi) miti: dalla pasta di Marco Polo ai cuochi di Caterina de' Medici in Francia. Prima parte

Nell'analisi degli aspetti relativi alla storia della gastronomia ha sempre fatto capolino il cosiddetto "fantasma delle origini". In quale contesto storico e culturale è nata e successivamente si è strutturata nella società una certa data valutazione su un prodotto alimentare di uso comune, come per esempio la pasta, che nulla ha a che vedere con il viaggio in Asia di Marco Polo? Perché siamo erroneamente convinti che Caterina de' Medici, divenuta consorte di Enrico di Valois nel 1533, il futuro Re di Francia, contribuì a determinare un marcato mutamento dei gusti e delle pratiche di cucina d'oltralpe portando la gloria gastronomica toscana a corte? 

Qui à una grande meraviglia, che ci àn farina d'albori, che sono àlbori grossi e ànno la buccia sottile, e sono tutti pieni dentro di farina; e di quella farina si fa molti mangiar di pasta e buoni, ed io più di volte ne mangiai.

Questa citazione da Il Milione offre alcuni spunti significativi per una corretta analisi della questione. All'epoca Polo si trovava nella regione sud-occidentale di Sumatra, precisamente nel reame di Fansur, quando venne a conoscenza di questa farina ricavata dalla palma sago con la quale si produceva una generica pasta, la quale sarebbe stata portata successivamente a Venezia dando così origine al mito del piatto gastronomico nazionale italiano. Nel XVI secolo, entrando in possesso di una traduzione latina trecentesca de Il Milione, il diplomatico e geografo Giovanni Battista Ramusio in Navigazioni e viaggi asserì quanto segue:

[...] farina d'arbori, perché hanno una sorte d'arbori grossi e longhi [...] e sono quegli arbori grossi come potrian abbracciar due omini. E mettesi questa farina in mastelli pieni d'acqua, e menasi con un bastone dentro all'acqua: allora la semola e l'altre immondizie vengono di sopra, e la pura farina va a fondo. Fatto questo si getta via l'acqua, e la farina purgata e mondata che rimane s'adopra, e si fanno di quella lasagne e diverse vivande di pasta, delle quale ne ha mangiato più volte il messer Marco, e ne portò seco alcune a Venezia, qual è come il pane d'orzo e di quel sapore.

Ora, il punto centrale della vicenda è che né Marco Polo né Ramusio, quest'ultimo potente vettore di diffusione della notizia, hanno asserito che queste vivande di pasta fossero delle novità. Novità semmai rintracciabile unicamente nell'aver portato alle nostre latitudini la farina ricavata da questi arbori grossi dalla buccia sottile, dal gusto simile all'orzo.

Come ogni storico della gastronomia ci suggerisce, al tempo in cui visse Marco Polo era già attestata la presenza della pasta nell'Italia geografica, che fosse fresca modello lasagna, risalente almeno all'epoca romana, o secca, di chiara origine araba, portata in Sicilia da queste popolazioni nel IX secolo, prima della dominazione normanno-sveva dei territori. Il geografo arabo al-Idrisi non a caso ci informa che già nel XII secolo era presente da tempo a Trabia, fuori Palermo, una fiorente produzione di pasta secca di grano duro:

[...] si fabbrica tanta pasta che se ne esporta in tutte le parti, nella Calabria e in altri paesi musulmani e cristiani; e se ne spediscono moltissimi carichi di navi.

Marco Polo ed i suoi viaggi non contribuirono quindi in nessun modo alla creazione del mito della pasta, il suo consumo era già stato fatto proprio dalla popolazione a seguito di altre contestualità storiche e sociali. Dal XII secolo assistemmo a graduali diffusione e consumo della pasta lungo tutto lo Stivale, grazie anche alla nascita delle repubbliche marinare che ne garantirono la fabbricazione ed il trasporto via mare e via terra, favorendo così la sua presenza nell'Europa continentale.

Tralasciando le dettagliate analisi relative a quanto i vari formati di pasta siano stati centrali nel costume alimentare tardo-medievale e rinascimentale, facciamo un salto di molti secoli: il (falso) mito risale ai primi anni del XX secolo. 

La grave crisi economica italiana di inizio secolo favorì un paio di massicce ondate migratorie verso l'America: migliaia di italiani si sobbarcarono l'impegno dell'incerto viaggio intercontinentale con lo scopo di assicurarsi nuove possibilità di lavoro. C'era la necessità di portare con sé qualcosa che facesse casa, e che magari favorisse un nuovo business. Si spiega in questi termini l'esponenziale diffusione dei pastifici italiani in loco, favorita dall'utilizzo di grano statunitense o canadese che poteva facilmente abbattere i costi di produzione evitando di ricorrere all'importazione dall'Europa. Al contempo, come spesso accade in presenza di intensi flussi migratori, assistemmo alla nascita di numerosi ristoranti etnici italiani che favorirono il consumo della pasta fra gli americani. 

Lo step successivo fu la creazione di un organismo istituzionale che potesse promuovere e valorizzare in maniera ancora più capillare la pasta nell'immensità del continente nord-americano. A tal proposito fu istituita la National Macaroni Manufactures Association, che riunì diversi produttori di pasta e che, a partire dal 1919, dette alle stampe un periodico dal titolo "Macaroni Journal". Ed è proprio lì che nel 1928 venne pubblicato il passo de Il Milione all'interno di un articolo, impreziosito da una singolare notizia: l'inventore della pasta sarebbe stato un fantomatico marinaio al soldo di Marco Polo, tal Signor Spaghetti!

Un giorno una giovane donna cinese stava impastando la pasta del pane all'ombra di un grande albero. Il suo segreto amante, un marinaio italiano che faceva parte della spedizione di Marco Polo in Oriente, le parlò d'amore con tanto ardore che dimenticò del tutto il suo dovere. Il vento fece cadere delle foglie nel recipiente della pasta. La bella cinese, a quella vista, timorosa del rimprovero che le sarebbe stato fatto dalla padrona per la sua incuria e per lo spreco della bella farina, non sapeva cosa fare. Il suo amante cercò di aiutarla. Egli concepì l'idea di tirare fuori le foglie dalla miscela premendo la pasta attraverso un rudimentale staccio: il canestro di vimini entro cui la ragazza trasportava la pasta. La pasta, allungata in sottili fili, asciugò presto al sole mentre i due giovani continuavano a far l'amore. Non sapendo cosa farne dei fili secchi di pasta, la ragazza li diede al suo amante che li portò sulla nave, li fece bollire nel brodo e li trovò assai commestibili. Al suo ritorno in Italia, Marco Polo fece preparare dal suo capo cuoco questo nuovo alimento per i suoi invitati, fra cui si trovavano nobili, ecclesiastici, militari, letterati ed artisti e tutti lodarono altamente questo nuovo alimento che venne così a poco a poco adottato come piatto nazionale. 

La pasta ed il fantasma delle origini: il "Macaroni Journal" funse così da primo diretto vettore del falso mito gastronomico, accompagnato, negli anni successivi, da una serie di riviste e giornali più o meno qualificati che ne attestavano la "sicura" provenienza estremo-orientale. Volendo è possibile annoverare pure Gary Cooper in The Adventures of Marco Polo del 1938: il grande divo di Hollywood si innamora della figlia dell'imperatore... ed anche di un delizioso piatto di spaghetti!




 


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