In principio furono i ricettari: dagli apporti della tradizione araba a Maestro Martino da Como. Prima parte

E' ampiamente noto come il celebre apiciano De re coquinaria rappresenti il primissimo testo di cucina dell'antichità, narrazione di una società aristocratica desiderosa di strutturare i piatti nobilitandoli, dove i condimenta, il largo uso di spezie ed odori la facevano letteralmente da padrone. Pensiamo al profluvio di cumino, cardamomo, zenzero, zafferano, malabatro, silfio e pepe, alcuni di essi adoperati anche per dolcificare o imbellire i vini; pensiamo al celebre garum, onnipresente salsa speziata a base di interiora di pesce. Raccolta di una pluralità di testi, l'Apicio dimostra di essere una pregevole summa degli usi e dei costumi gastronomici di oltre tre secoli, intercorsi dalla fine dell'età repubblicana fino alla divisione dell'impero romano.

Come ci palesano gli studi condotti negli ultimi 40 anni, un evidente punto di svolta nella narrazione delle pratiche di cucina lo possiamo rintracciare tra il XIV ed il XVI secolo, quando, con il costituirsi in Europa di una sempre più salda dottrina gastronomica, facilitata anche dai mezzi per poterla esplicitare, è stato garantito un crescente diffondersi di manuali di stampo dietetico e di ricettari intesi in senso stretto. Siamo quindi giunti a poter valutare un sorta di parentela tra molti di essi, se non vere e proprie filiazioni testuali, partendo da due sovrastrutture principali: gli afflussi culturali rintracciabili nella tradizione greco- romana e quelli relativi ai marcati apporti arabo-persiani.

Un ruolo significativo per la nascita dei ricettari in Italia, in Francia ed in Inghilterra lo gioca l'apporto dell'ampia letteratura culinaria araba. Pensiamo, uno su tutti, al fondamentale Liber de ferculis et condimentis di Giambonino da Cremona, raccolta di specialità arabe corredate da ampie informazioni dietetiche, conformi ai canoni della teoria umorale del tempo. Conservato all'interno di un manoscritto autografo ospitato presso la biblioteca Aya Sofia di Istanbul, troviamo invece il più antico testo della tradizione gastronomica araba, il Libro delle vivande (Kitāb al-Tabīḥ) di al Baġdādī, realizzato nel 1226 a Baghdad. Qui spadroneggiano la cannella, il coriandolo, il cumino e vari piatti strutturati con il succo di melagrana. Conservato in una decina di manoscritti, un altro testo ugualmente significativo è il Libro del vincolo (Kitāb al Wuṣla ilā al-ḥabīb), dato alla luce da autore anonimo nel XIII secolo: uno strabiliante numero di preparazioni, circa seicento, delineano una cucina che oggi potremmo definire, senza mezzi termini, "internazionale".

Gli elementi che legano l'Europa alla tradizione gastronomica araba sono agilmente rintracciabili in quei luoghi, Spagna e Sicilia su tutte, dove la cultura dei popoli provenienti da oriente e quella cristiana si sono storicamente confrontate in un continuo scontro-incontro: per i ricettari pensiamo al catalano trecentesco Libre de sent sovì. Notevoli contributi arabi al modello alimentare europeo sono rappresentati dall'introduzione, alle nostre latitudini, di alcune tipologie di piante e alberi da frutto, come l'arancio, il limone, la canna da zucchero, la melanzana, mentre un utilizzo ancora più marcato di spezie rispetto all'epoca romana è giustificato dal fatto che, oltre ad essere grandemente importate da oriente per finalità gustative, esse venivano utilizzate anche per ricavarne benefici terapeutici, in quanto ritenute fondamentali per facilitare la digestione dei cibi, correggendone i loro "vizi".

Come non pensare alla massiva influenza della medicina araba in Europa, a partire dall' XI secolo con ibn Butlan (morto nel 1066). Il suo Tavole della salute (Taqwīm al-ṣiḥḥa) viene tradotto in latino e ricopiato in numerosi manoscritti con il titolo di Tacuinum sanitatis per Manfredi, re di Sicilia. Il testo è stato commentato da Arnaldus de Villanova e pubblicato a Strasburgo nel 1490, successivamente a Venezia (c. 1500) dall’editore Bernardino Vitali, le cui copie si trovano presso la Biblioteca Marciana.

Ma veniamo ad analizzare più direttamente le italiche vicende. All'inizio della narrazione trattatistica culinaria possiamo distinguere due distinti filoni: uno, definito "meridionale", vede il suo baricentro nel sud Italia, con il celebre Liber de coquina ubi diversitates ciborum docentur. Esso è collocato all'interno di un codice miscellaneo e tramandato in due manoscritti che si trovano conservati presso la Biblioteca Nazionale di Parigi e databili ad un lasso di tempo compreso tra il 1304 ed il 1314. Il manoscritto B contiene tra l'altro il già citato Liber de ferculis. Il Liber de coquina rappresenta il più antico ricettario dell'Europa cristianizzata. L'altro filone vede nella tradizione dei Dodici Ghiotti una impronta di estrazione prettamente toscana.

Divenendo quasi sicuramente poco attuale verso la seconda metà del XIV secolo, il Liber de coquina originario dette vita ad una serie di rimaneggiamenti ed integrazioni che portarono alla realizzazione di altri manoscritti cugini, andando a costituire un corpus di testi ben più ampio, facilmente collazionabili tra di loro. Qui possiamo delineare due peculiarità ben specifiche: da una parte la presenza di un cospicuo numero di ricette in comune e molto simili tra loro, presenti nei vari manoscritti successivi, che sopravvissero nonostante le continue modifiche strutturali. Dall'altro assistiamo alla diffusione dei testi in Francia ed in Germania grazie all'uso della lingua latina. Una sorta di "fioritura europea" che vede anche altri protagonisti di spicco dell'epoca medievale: fra tutti francesi Le Viandier de Taillevent e Le Menagier de Paris, l'inglese Curye on  Inglysch, English culinary manuscripts of the fourteenth century e lo spagnolo Llibro del Coc de la Canonja de la Seu de Tarragona. Dal Liber de coquina deriva la traslazione in volgare toscano, il Libro de la cocina.

La tradizione dei Dodici Ghiotti consta di otto manoscritti, dati alla luce tra il XIV e la fine del XVI secolo. Il testo più antico fu copiato indicativamente in un lasso di tempo compreso tra il 1338 ed il 1339, si trova allocato presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze. Esso si apparenta a due esemplari gemelli, realizzati nel corso del XIV secolo: il primo si trova presso la British Library di Londra, l'altro è conservato presso la Biblioteca Gastronomica di Sorengo. Collegati a questa tradizione sono rilevabili i due testi di estrazione veneta: il primo, frammentato, è ospitato presso la Biblioteca Marciana di Venezia ed è costituito da un unico foglio contenente dieci ricette, l'altro si trova presso la Biblioteca Casanatense di Roma. Il tratto comune dei Dodici Ghiotti è rappresentato dal fatto che un numero cospicuo di ricette, piuttosto dettagliate, è strutturato appunto per 12 convitati. Alcuni studiosi collegano questo dettaglio alla "Brigata spendereccia" senese di dantesca memoria, gruppo di giovani e ricchi che avrebbero dilapidato la propria fortuna in sontuosi banchetti.

O voi immortali dèi, quale cuoco può competere con il mio amico, il Maestro Martino da Como, cui devo in gran parte quello che qui vado scrivendo?

Bartolomeo Sacchi, De honesta voluptate et valetudine 

Bisognerà attendere la realizzazione del fondamentale Libro de arte coquinaria di Maestro Martino, cuoco del cardinale di Aquileia e membro dell'Accademia Pomponiana, per avere una netta cesura con la tradizione gastronomica medievale ed avviarci verso un senso del gusto più prettamente rinascimentale. 




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