Magnificentia et splendor: l'arte del bel servire nel convito rinascimentale

Il banchetto: un complesso strumento di rappresentazione del potere nel quale il nobile di turno era in grado di esprimere la propria egemonia, culturale ed intellettuale in primis. Nel periodo rinascimentale i conviti di corte erano connotati da un marcato valore sociale e politico, i "simboli" della tavola delineavano e definivano le relazioni tra individui, all'interno di un ricco apparato, la raffinata imbandigione, costituita da aspetti visivi e cornici scenografiche i più seducenti e sontuosi possibili. 

Magnificentia et splendor. Al banchetto nuziale di Costanzo Sforza e Camilla d'Aragona, tenutosi a Pesaro nel 1474, la sala allestita si presentava splendidissima pien d'oro et argento: 2500 specchi riflettevano una sorta di enorme firmamento colmo di stelle variamente scintillanti nel quale erano incastonati i vari segni zodiacali. Sapori di cibi intercalati ad assonanze cromatiche: il Sole e la Luna dominavano la scena scendendo dal soffitto; alternandosi, il primo presentava le vivande calde giunte dalla cucina, la seconda introduceva invece le pietanze fredde ed i servizi di credenza.

Durante questo periodo una particolare attenzione venne posta nei confronti dell'universo mitologico: carico di valore simbolico ed allegorico, si materializzò sulle tavole rinascimentali con l'allestimento di vari apparati scenografici e di numerosi trionfi di zucchero. Il più grande tra i grandi, Bartolomeo Scappi, ci informa delle sue solenni statue zuccherine, realizzate per un banchetto a Trastevere, le quali introducevano i convitati in una sorta di rarefatta, artificiosa dimensione atemporale:

Diana con la Luna in fronte e cinque Ninfe con dardo, faretra, viola, cornetta e cembalo. Paride con un pomo in mano, Giunone ignuda, Helena Troiana adornata di vesti e capelli d'oro.

Questa sorta di teatro totale, dove ognuno degli attori in campo possedeva una sua intrinseca sostanzialità - i convitati/attori, il cuoco e le figure dei servizi della tavola, i musici ed i commedianti - si strutturava sovente con degli spettacoli da proporre prima dell'inizio del bacchetto o anche successivamente. Il cardinale du Bellay, per esempio, nell'offrire una colazione a Montecavallo, gestita da otto scalchi e da otto trincianti coadiuvati dal suddetto Scappi, presentò una commedia recitata in francese, bergamasco, veneziano e spagnolo. Una vicenda, fra le molte da poter esporre, per comprendere come le corti rinascimentali elaborarono, secondo Emilio Faccioli, "una propria teoria e prassi del convitare, momento culminante del costume di corte".

In questo filone si inserisce un personaggio di spicco dei primi anni del Cinquecento, Baldassarre Castiglione, umanista, letterato ed autore del celeberrimo trattato Il Cortegiano, manuale che descriveva usi e costumi del perfetto uomo di corte. Castiglione era noto anche come direttore di spettacoli teatrali e maestro di cerimonie, abile propositore di quella summa di comportamenti e conoscenze utili a raggiungere l'arte del bel servire, dove grazia e garbo, destrezza ed eleganza delle messe in scena garantivano l'obiettivo di magnificare il potere del Principe.

Altri peculiari elementi garantivano un effetto sfolgorante alle sale durante i banchetti. Pensiamo ai mobili preziosi, elegantemente fasciati di raso e di broccato scintillante o alle pareti dove erano appesi i numerosi arazzi, assieme agli apparati di corame e di cuoio sapientemente lavorati, pensiamo alle fantastiche credenze, fondamentali nell'allestimento, dove l'argenteria esposta rifletteva i candelabri, le grandi brocche, i bronzini mesciacqua e le confettiere. Pensiamo a come erano elegantemente predisposte le tavole, tra calici di vetro e cristalli di rocca finemente lavorati d'oro, i velluti cremisini e le ceramiche dal colore così vivo da esaltare le pietanze contenute nei piatti. Pensiamo infine, sfarzo nello sfarzo, al ricercato gusto decorativo abbinato direttamente ai cibi presentati: l'argentatura e la doratura dei dolci, le portate di carne, sapientemente rivestita con finissime foglie d'oro, lo zucchero colorato in mille varianti e molto altro.

Accadeva anche che numerosi artisti di chiara fama partecipassero direttamente alla realizzazione del banchetto. Tiziano, per esempio, scelse forme e colori per una partita di vasellame richiesta dagli Estensi, Ludovico il Moro ebbe come sovrintendente alle sue mense niente meno che Leonardo, Andrea Del Sarto plasmò delle elaborate invenzioni gastronomiche dalla materia prima alimentare, mentre il Cellini dette forma a mirabili creazioni da porre sulle tavole. E non ci stupiscono le parole di Vincenzo Cervio, operante presso il cardinale Alessandro Farnese: nel suo trattato Il trinciante del 1581 descrive in questi termini l'allestimento del primo servizio di credenza del banchetto tenutosi a Castel Sant'Angelo in onore dei figli di Guglielmo V di Wittelsbach, Duca di Baviera: 

Pavoni bianchi rivestiti et adornati di perle, coralli e fetucce d'oro et argento, con pendenti all'orecchie e profumi nel pico, [...] nel quale banchetto si mostrò molta liberalità et magnificenza.

Particolare attenzione veniva riservata, come in una sorta di rituale, alla creazione di vari animaletti utilizzando i tovaglioli da allestire sulle tavole assieme ai pregiati taffetà, dai quali, tra mille pieghe, si ricavavano dei veri e propri castelli svettanti. A questo elemento della tavola, oggigiorno assai scontato ma al tempo candido e finemente lavorato, veniva attribuita una valenza simbolica particolarmente marcata, legata a norme di comportamento ben specifiche: porre il tovagliolo o la bavarola significava dare inizio allo spettacolo, mentre il riporlo indicava la chiusura finale. Bianco: il tovagliolo, la tavola, il pane, il biancomangiare, le salviette nitide come la neve, tutto aiutava a palesare il candore del nobile di turno. Sul concetto del biancore si sofferma Bartolomeo Sacchi, detto Il Platina, celebre umanista e gastronomo del tardo Quattrocento, autore del De honesta voluptate et valitudine:

Bianchi stanno li mappi, candidi li mantili, aciò che se non fusseron bianchi generassero fastidio e tollesseno l'appetenzia del mangiare.

Bona Sforza andò in sposa a Sigismondo I di Polonia nel 1518 a Vienna diventando regina consorte di Polonia; nel dicembre dello stesso anno si tenne il pranzo di nozze a Napoli, ecco una descrizione dei tovaglioli utilizzati:

Le candide increspature chiudevano fiori profumati e mandali di sottilissima tela d'Olanda, crespi e spesse pieghe ripiene di tanti gelsomini odoriferi e bianchi con altri frondi di cedro de color d'oro che empiono d'odore l'invitati.

Ed ecco che, come in un copione teatrale con i suoi colpi di scena drammaturgici, alle volte ci si superava, letteralmente: nel fastoso banchetto offerto a Giuliano di Lorenzo e Lorenzo di Piero de' Medici in Campidoglio nel 1513 ad un certo punto i convitati, prendendo in mano i tovaglioli ingegnosamente piegati, videro uscirne, tra lo stupore generale, augelietti vivi de più sorte. Ricercatezza e stupore, magnificentia et splendor anche per quei cibi apparentemente banali come la frutta, i ravanelli o le paste dolci speziate (susamielli). Ci viene giusto in aiuto Cristoforo di Messisbugo, famosissimo cuoco operante alla corte estense di Ercole II d'Este: ecco cosa scrive nel suo Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale del 1549:

[...] ecco artefici di ravanelli lavorati d'intaglio con diverse figure e animali, [...] quindici figure, che furono otto mori ignudi e sette femine ignude, pur more, di pasta di sosameli, [...] con certe verdure e diversi fiori, che coprivano le parti che naturalmente si nascondono.

Bottega dei Saracchi. Uccello in cristallo di rocca, oro e smalti. (Firenze, Museo degli Argenti)


 




 


Commenti

Post popolari in questo blog

Tra natura, cultura ed etno-antropologia. Il triangolo culinario di Claude Lévi-Strauss

Il Capitulare de villis: la quotidianità nella società agraria carolingia - Prima parte

Senso del gusto, cultura e pratiche gastronomiche tra Medioevo e Rinascimento