Tutto attorno a Firenze: uno sguardo alla cucina di Lorenzo

L'uomo raffinato e colto deve avere anche il palato educato.

Lorenzo de' Medici era un grande amante della cucina, dai gusti assai esigenti, ma anche figlio della schiettezza toscana. 

Come era prassi per quel periodo, nelle pratiche di cucina si tendeva ad utilizzare sapori decisi durante la preparazione delle vivande: pensiamo al profluvio di spezie ed ai sapori agrodolci piuttosto forti, alle salse ed agli intingoli, ai pasticci in crosta, all'onnipresente agresto almeno fino al primo Rinascimento; pensiamo al flusso ininterrotto di zucchero che accompagnava praticamente qualsiasi pietanza e veniva utilizzato anche per imbellire le tavole dei banchetti signorili con sontuose opere, composizioni artistiche che impreziosivano, teatralmente; pensiamo al must per eccellenza, la carne, arrosti e selvaggina sopra di tutti. Alcuni esempi, ma ne potrei portare altri.

Le forme della convivialità nell'epoca rinascimentale erano all'insegna del fasto più assoluto, non solo per quanto concerne l'aspetto meramente relativo agli interminabili servizi di cucina e di credenza, al cibo: tutto girava attorno a come esso veniva simbolicamente ostentato, rappresentazione del potere del signore di turno, anche grazie all'utilizzo di sale allestite in maniera spettacolare, in modo da offrire agli invitati una sorta di mondo fiabesco, creato dall'opera certosina degli scalchi di corte; ad ognuno era assegnato un preciso posto a sedere, in base al titolo nobiliare; ed ecco anche musici ed attori che accompagnavano l'interminabile susseguirsi delle imbandigioni.

Lorenzo, da buon fiorentino, non amava particolarmente le vivande troppo elaborate o insaporite con un eccessivo utilizzo di spezie; via lo zucchero e la stucchevole acqua rosata, optando per cibi maggiormente ruspanti e casalinghi, il tutto accompagnato dal buon vino toscano.

Il Medici era ghiotto di selvaggina, si recava sovente a Lecore, poco fuori Firenze, da Ugolino Verino, poeta stimato a corte, per gustare arrosti di ogni natura e tordi. Clarice Orsini, la moglie, lo prendeva spesso per il verso della gola quando, trattenuto in città per motivi di governo, dalla villa di Cafaggiolo nel Mugello gli faceva arrivare "starne, le quali hanno preso oggi gli uccellatori, un fagiano e cento beccafichi". Ed ancora, in una lettera al consorte, "mandovi queste dua lepri, le quale questa mattena a buona hora prese la Turcha acciocché per mio amore con ese di me colla tua brigata vi ricordiate".

Ai banchetti di casa Medici trovavamo mercanti, ricchi cittadini, artisti, filosofi e letterati. Ed era possibile mangiare un poco di tutto, ampia scelta. I vasti possedimenti, con le attente pratiche agronomiche messe in atto da Lorenzo, garantivano ogni sorta di verdura, frutta, grano e olio durante tutto l'anno, mentre i vini, pregiati, erano gelosamente conservati presso l'ampia cantina del palazzo di Via Larga, come si evince dal "Libro roxo", inventario che elenca numerose botti e caratelli.

I boschi erano periodicamente ripopolati con grandi quantità di volatili, fagiani e pavoni in primis, che giungevano direttamente dalla Sicilia; la mensa di Lorenzo era un fluire continuo di vivande, rifornita da cacciatori e falconieri; ecco presenti i numerosi strumenti adoperati per la selvaggina, come ragne, asiuoli, pantiere, reti, cerbottane, elencati negli inventari delle ville e delle fattorie di proprietà, sparse un poco ovunque fuori Firenze. Il pesce, consumato grandemente di lago e di fiume come era prassi all'epoca, veniva pescato con le vanghaiuole e con i giachi tondi e aperti; rifornimenti assai meno copiosi provenivano dal mare di Pisa, mentre le lamprede erano garantite dai fittavoli dei molini medicei che pagavano il canone in parte in denaro ed in parte in libbre di pesce andante.

A' tempi nostri, alla diligenza dei Medici, le vacche fur condotte dai paesi stranieri nel vicino Poggio a Cajano ai freschi e lieti pascoli e di qiuvi in città pingui formaggi.

Come ci testimonia il Verino nel De illustratione urbis Florentiae alla tavola di Lorenzo non mancavano mai i formaggi. Ed ecco presenti marzolini, pecorini pisani e quelli delle crete, mentre dal circondario fiorentino giungevano alla dispensa medicea anche svariate forme di cacio.

Grande attenzione era posta all'allevamento di numerose mandrie di mucche: nelle cascine, riprendendo la denominazione lombarda, venivano accomodati numerosi animali, provenienti direttamente dalla Pianura Padana. "Nelle praterie del chomune di Vichio di Bientina era una stalla per circa 150 vacche et abitationi de chaciai et chacio con più abituri et edifici". La cascina più grande si trovava però a Bonistallo, nei pressi di Poggio a Caiano, dove era presente la stalla più produttiva, tanto che servivano "12 letti per far dormire tutti i garzoni": la maggior parte del formaggio stagionato che abbelliva i banchetti medicei proveniva da qui; numerosi gli strumenti per la lavorazione, come caldaie di rame con fornelli, spersori da fare il cacio, graticci, burraiuoli, charetti delle ricotte, fasciere da cacio ed una interminabile serie di palchi e panconi che ospitavano le grosse forme di formaggio per la stagionatura. Sempre il Verino ci testimonia come la produzione di latte e formaggio fosse così copiosa da risultare totalmente funzionale alla richiesta dell'intera città di Firenze: non erano più d'obbligo le importazioni dalla Lombardia.

Volevamo far mancare i maiali? Macché! Sempre nella zona attorno a Bonistallo questi animali ingrassavano fino a raggiungere "una straordinaria grandezza", mentre il siero rimanente dai processi di caseificazione veniva diluito alla farina per l'alimentazione delle bestie. Gli ospiti, piacevolmente ricevuti nelle ville di Poggio a Caiano, Careggi e Fiesole, avevano la possibilità di farsi servire miriadi di pietanze le cui materie prime giungevano sovente dal circondario fiorentino.




 







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