Tra Slow Food e chilometro zero: mangiare "geografico" e tradizionale

Il secondo Novecento è stato caratterizzato da un inesorabile allontanamento dalla tradizione alimentare più propriamente "locale" e "contadina", colpevoli una feroce industrializzazione ed un processo assai repentino di urbanizzazione: grandi masse di persone trovarono, sempre più spesso, una alternativa interessante nel tumulto delle città, con conseguente ed inesorabile perdita dei tradizionali valori gastronomici.

Oggigiorno assistiamo ad un processo di recupero, sempre più affinato, delle tradizioni culinarie del passato, anche se, oggettivamente, si pongono due problemi non di poco conto. I prodotti tipici, i beni alimentari ed agricoli di un tempo, le pratiche di cucina, rispolverati così fortemente, presentano una problematica di autenticità: "filologicamente" è complicato tornare indietro nel tempo e tentare di riproporre un piatto totalmente "così come era", a causa dei travolgenti mutamenti avvenuti nell'agricoltura; secondariamente si palesa anche un altro aspetto che può inficiare una lettura più propriamente fedele della tradizione che fu: alcune specie botaniche e zoologiche non esistono più, non troviamo più alcuni prodotti ed alcune condizioni tecniche e culturali specifiche del secolo scorso, che potrebbero aiutare a "ri-leggere" il più realisticamente possibile un piatto, una ricetta come si presentava all'origine.

Mario Soldati, scrittore e regista, cercò di "riavvolgere il nastro", già negli anni '50, con la trasmissione televisiva "Viaggio lungo la Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini", tentativo di recupero della verace tradizione alimentare italiana; ma già negli anni '80, con i marcati cambiamenti culturali in atto (quindi anche nel costume alimentare), questo esperimento non trovò più terreno fertile.

Su questi presupposti, con l'intento di individuare, valutare e ri-organizzare funzionalmente la tradizione passata, è nato il movimento "Slow-Food", il mangiar "lento" e... "geografico".

Sorto in Italia nel 1986, ampiamente diffusosi in tutta Europa a partire dal 1989, pone al centro dei propri valori culturali un modello di alimentazione plasmato su ideali di una agricoltura rispettosa della natura, dei coltivatori e delle esigenze del consumatore; la protezione e la valorizzazione della biodiversità dei prodotti contadini sopravvisuti fino ad ora rientrano ampiamente nella mission di "riproporre i gusti di una volta". Nel 2004, in seno a questi presupposti-manifesto, è nata a Pollenzo (CN), all'interno di una antica fattoria-castello, quella meravigliosa fucina di idee e di Sapere che è l'Università di Scienze Gastronomiche, strada maestra per i grandi chef del futuro; nondimeno importanti sono anche, culturalmente, i "Presidi Slow-Food" e l' "Arca del Gusto", entrambi deputati alla salvaguardia e costante riproposizione dei prodotti agricoli e culinari, naturali e tradizionali.

Parallelamente è presente un tentativo di eliminare il più possibile "l'intermediazione" nel commercio dei prodotti agro-alimentari: un binomio vincente, diretto, produttore-consumatore, con lo scopo di incrementare il profitto del primo e ridurre i costi del secondo; un sistema che tenti quindi di offrire un mercato "altro", il più libero possibile dalle pastoie e dalle mediazioni del grande commercio, delle multinazionali, attento a valorizzare, appunto, l'agricoltura contadina ed il mangiare "geografico".

Identità, tra cultura e gastronomia: il desiderio di resistere alla "mondializzazione", all'uniformità della dieta umana, è ben radicato nella nostra società. Che futuro ci aspetta?

Slow Food





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