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Ricette di guerra e di povertà: la minestra "con la palla"

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Prima dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale la città di Livorno stava attraversando un periodo piuttosto florido da un punto di vista economico e sociale: dal 1937 i grandi gruppi industriali, che facevano riferimento al porto cittadino, erano fautori di una positiva ricaduta anche sulle attività dell'indotto poste all'interno del territorio. Molte aziende avevano a disposizione cospicui vantaggi economici per poter operare, pensiamo alle attività della Motofides, la SA manifatture toscane, la Genepesca, la Tubi Bonna, la Richard Ginori, la raffineria Anic, tanto per citarne alcune. I danni che la città subì ebbero una triplice natura: quelli provocati dai bombardamenti alleati, quelli realizzati dalle truppe tedesche successivamente all'8 settembre 1943 ed in ultimo quelli dovuti all'occupazione alleata dopo la ritirata dell'esercito tedesco. Eredità pesanti, nella città labronica: un centro storico irriconoscibile, il reticolo industriale portuale, fiore a

Chips di farina di mais e di ceci con crema al porro in latte di riso e paprika

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CHIPS DI FARINA DI MAIS E DI CECI CON CREMA AL PORRO IN LATTE DI RISO E PAPRIKA - Farina di mais, 90 gr. circa - Farina di ceci, 60 gr. circa - Del brodo vegetale - Un porro - Del latte di riso - Della paprika (se forte i quantitativi saranno assai inferiori) - Olio evo, sale e pepe qb. I quantitativi ed i rapporti degli ingredienti saranno variabili a seconda del numero di chips che si vorranno ottenere e del gusto preminente desiderato. Pulire il porro eliminando la parte verde ed il primo strato, ridurlo a rondelle assai fini, cuocerlo abbondantemente in poco latte di riso, facendo evaporare il più possibile il liquido, salare, pepare, incorporare la paprika e frullare a crema col mixer ad immersione; alla bisogna aiutarsi con della fecola per addensare; mettere da parte. Portare ad ebollizione poco brodo vegetale, abbassare la fiamma, quindi setacciarvi a pioggia le due farine, rimestando copiosamnete per evitare grumi, aggiungere poca paprika, salare e pepare; proseguire a fuoco b

La civiltà del castagno e l'albero del pane: le armelette

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Garfagnin della Garfagna, se tu non avessi la castagna moriresti dalla famma! Anonimo L'antropolgia alimentare, la scienza che studia il cibo in relazione agli aspetti storici, sociali e psicologici, così intimamente connessi all'evolversi del "senso del gusto" nei secoli, molto spesso mette in stretta relazione alcuni elementi specifici della natura con i vissuti (le sorti) delle popolazioni che abitano le zone di periferia interne: dove l'arte di arrangiarsi era assoluta e tragica quotidianità, alle volte capitava di elevare ad una sorta di "semidei" delle piante o degli alberi che, con la loro generosità, potevano fare la fortuna o meno di interi villaggi. E' il caso dell'albero del castagno, non a caso denominato "albero del pane", assolutamente indispensabile per intere generazioni di contadini. Nella zona compresa tra Garfagnana e Lunigiana, ma non solo lì, durante i secoli si è sviluppata una sorta di "civiltà del castagno&q

Nel Mediterraneo: la palamita incontra la scapece

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Mediterraneo. Fino ad una ventina di anni fa la palamita, carne decisamente soda e particolarmente saporita, simile al tonno rosso, era totalmente snobbata dalla tradizione gastronomica italiana, utilizzata a malapena al sud per essere messa sott'olio; al contrario i giapponesi ne sono ghiotti da sempre, la pongono al posto d'onore per la realizzazione del tradizionale sashimi, oggi tanto popolare anche in Occidente. E' servita l'opera di Slow Food e Pietrangelini per nobilitarla e portarla all'attenzione dei molti. Un tempo i pescatori utilizzavano le mitiche palamitare per catturare il pesce, reti a maglie assai larghe lasciate in mare ad aspettare i banchi e rasenti il pelo dell'acqua, fino ad una decina di metri verso il fondale; oggi, tempi moderni, vengono adoperati quasi esclusivamente i sonar e le maglie dei singoli pescherecci. La palamita è un pesce assai "sociale", si sposta in gruppo assieme ad altre razze come cefali, sardine, acciughe e s

Tra Slow Food e chilometro zero: mangiare "geografico" e tradizionale

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Il secondo Novecento è stato caratterizzato da un inesorabile allontanamento dalla tradizione alimentare più propriamente "locale" e "contadina", colpevoli una feroce industrializzazione ed un processo assai repentino di urbanizzazione: grandi masse di persone trovarono, sempre più spesso, una alternativa interessante nel tumulto delle città, con conseguente ed inesorabile perdita dei tradizionali valori gastronomici. Oggigiorno assistiamo ad un processo di recupero, sempre più affinato, delle tradizioni culinarie del passato, anche se, oggettivamente, si pongono due problemi non di poco conto. I prodotti tipici, i beni alimentari ed agricoli di un tempo, le pratiche di cucina, rispolverati così fortemente, presentano una problematica di autenticità: "filologicamente" è complicato tornare indietro nel tempo e tentare di riproporre un piatto totalmente "così come era", a causa dei travolgenti mutamenti avvenuti nell'agricoltura; secondariament

Il potere del colore: sua maestà il cavolo rosso

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Questa settimana i miei studi in Scienze Gastronomiche ed Antropologia Alimentare si sono sostanzialmente concentrati sull'importanza dei pigmenti nei processi di vinificazione e sulla loro straordinaria presenza anche nel mondo vegetale: sono numerosi gli ortaggi che consumiamo, soprattutto in questo autunno, dove "colore" è sinonimo di salubrità all'ennesima potenza. Antocianine o antociani, gruppo dei flavonoidi: sta tutto in questo. Liscio, carnoso e particolarmente croccante nelle sue foglie, il cavolo cappuccio rosso, comunemente ma erroneamente chiamato "viola", assai diffuso nel Mediterraneo sin dall'epoca romana, si differenzia dai suoi cugini verde e bianco proprio per queste sostanze, pigmenti che ne caratterizzano il colore, assai presenti in natura. Il cavolo rosso si adatta agilmente ai climi dell'Europa del Nord, e, rispetto al cappuccio più comune, sono presenti particolari caratteristiche dal punto di vista nutrizionale: abbondano vi

Cavolo, che ricetta! Il cappuccio rosso al suo top

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Antocianine o antociani, gruppo dei flavonoidi: sta tutto in questo. Liscio, carnoso e particolarmente croccante nelle sue foglie, il cavolo cappuccio rosso, comunemente ma erroneamente chiamato "viola", assai diffuso nel Mediterraneo sin dall'epoca romana, si differenzia dai suoi cugini verde e bianco proprio per queste sostanze, pigmenti che ne caratterizzano il colore, assai presenti in natura. Il cavolo rosso si adatta agilmente anche ai climi rigidi dell'Europa del Nord, e, rispetto al cappuccio più comune, sono presenti particolari caratteristiche dal punto di vista nutrizionale: abbondano vitamina A, ferro e potassio; ma i componenti fenolici pigmentanti la fanno da padrone per quanto concerne le positive attività antiossidanti di questo ortaggio, unitamente alla funzionalità di controllare in maniera marcata l'afflusso di colesterolo nel sangue. Insomma, la natura ci offre una bomba atomica di salubrità. Io ho tentato la sorte con l'altro protagonista

Nel cuore di Firenze: la ribollita

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Attivo agli inizi del ‘900, Alberto Cougnet fu poligrafo, scrittore e giornalista. Nel suo monumentale “L’Arte cucinaria in Italia”, pietra miliare dei trattati di inizio secolo con oltre 4376 ricette suddivise per tipologie in 18 capitoli, fa uso, primo su tutti, della parola “ribollita”. Una zuppa assai similare in ingredienti e preparazione rispetto alla ricetta contemporanea, oggigiorno simbolo culturale non solo di Firenze, era presente già nell’Artusi di fine ‘800, ma veniva denominata dall’autore come “zuppa toscana di magro alla contadina”, con aggiunta di cotenne di “carnesecca”: “Questa zuppa, che per modestia si fa dare l’epiteto di contadina, sono persuaso che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione.” Nel trattato teorico del Cougnet del 1910, al volume I, il poligrafo ci palesa appunto per la prima volta in assoluto il termine “ribollita”, inquadrandola territorialmente e storicamente nel lembo di terra compreso tra Toscana e Marche: “Ne

La ribollita toscana: una tradizione "recente"

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Attivo agli inizi del '900 , Alberto Cougnet fu poligrafo, scrittore e giornalista. Nel suo monumentale "L'Arte cucinaria in Italia", pietra miliare dei trattati di inizio secolo con oltre 4376 ricette suddivise per tipologie in 18 capitoli, fa uso, primo su tutti, della parola "ribollita". Una zuppa assai similare in ingredienti e preparazione rispetto alla ricetta contemporanea, oggigiorno simbolo culturale non solo di Firenze, era presente già nell'Artusi di fine '800, ma veniva denominata dall'autore come "zuppa toscana di magro alla contadina", con aggiunta di cotenne di "carnesecca":    "Questa zuppa, che per modestia si fa dare l'epiteto di contadina, sono persuaso che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione."   Nel trattato teorico del Cougnet del 1910, al volume I, il poligrafo ci palesa appunto per la prima volta in assoluto il termine "ribollita", inquadran
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Sono circondato da artisti: oltre che nella musica barocca la cara Benedetta eccelle nell'arte della pasticceria. Seguitela! Una valida alternativa a questi tempi cupi. https://blog.giallozafferano.it/benzycake/  

Giorgia’s cream, magnificare la diplomatica

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Giorgia's cream: incontri in cucina, progetti, confronti. Dall'altra mia passione, il canto corale, è nata recentemente una prolifica collaborazione tra i fornelli con la cara Giorgia, la quale, è proprio il caso di dirlo, mi ha dato il "la" per questo fantastico esperimento autunnale. Non affronto volentieri la pasticceria, soprattutto se si tratta di elaborare creme e affini. In cucina ho tendenzialmente uno spirito anarchico mentre sono ai fornelli, spesso creo una ricetta con gli ingredienti ad occhio nei loro quantitativi. Sicché questo aspetto, come possono agilmente confermare le colleghe che trattano di pasticceria su questo sito, non può assolutamente sposarsi con quest'arte, dove ogni ingrediente, ogni passaggio, devono essere rigorosamente dosati ed elaborati. 1\3 - 2\3: questi sono i rapporti ottimali per quanto concerne la diplomatica, strutturata su altre due creme: incontri di un certo peso in cucina, 1\3 di chantilly e 2\3 di pasticcera! Fluida e l

Tesori d'Autunno

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Cachi a sorpresa

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      E' domenica, ci siamo alzati tutti tardi e adesso la pasticceria è chiusa! E con cosa lo faccio il dolce per chiudere il pranzo? Semplice: In un bicchiere metto un bel ciuffone di panna, un cucchiaio di castagne arrosto sbriciolate, avanzate dalla sera prima, un cachi morbido, sbucciato e tagliato, ancora un ciuffone di panna e sopra scaglie di cioccolato fondente! Fate attenzione: i commensali potrebbero mangiare anche bicchiere e cucchiaino, contateli a fine pasto...

La Peperonata

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  Nei primi anni Settanta, mio papà ed un suo collega comprarono insieme un piccolo appezzamento di terreno non lontano dal Santuario del Divino Amore, a Roma, soprannominato presto Il campo dei miracoli , vista la sua notevole produttività nonostante, a detta di papà, non ci piovesse mai e tutto ciò che ci nasceva era per grazia della Madonna del Divino Amore. Lavorando tutto rigorosamente a forza di braccia, quindi di vanga e zappa, come nel Medioevo, mio papà, nel tempo, da quel campo ha tirato fuori una bellissima vigna, qualche albero d’olivo e di frutta, pomodori, legumi e verdure in quantità industriali; per anni, ha fatto un vino bianco buonissimo, allestendo la cantina negli scantinati del palazzo dove hanno abitato, con una botte di vetroresina, una pigiatrice ed un torchio di legno, anche loro completamente manuali; in più, qualche anno, è riuscito a ricavare anche qualche bottiglia d’olio. Le sue verdure erano buonissime e saporite, proprio perché crescevano secondo i

Variazioni sul tema: impannata di pesce alla livornese

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Un altro piatto tipico della tradizione gastronomica livornese sono questi strepitosi tortelli di pesce fritti, assai poco battuti, meglio conosciuti come "impannata di pesce". Sulla rete troviamo due o tre versioni, io propongo una rilettura tratta dal manuale del Petroni, permettendomi delle piccole modifiche: strutturerò sostanzialmente in una sorta di "acquapazza modificata", metodo di lessatura in poca acqua che sublima il vero gusto dei pesci, sia lo scorfano che la gallinella; si regalerà così una intensità maggiore al tutto una volta formati e fritti i tortelli. Altra variazione: non ho utilizzato l'acciuga sottosale ma semi di finocchio e capperi, più delle borettane. IMPANNATA DI PESCE ALLA LIVORNESE, per 6: Per l'acquapazza: - Uno scorfano assai grande - Una gallinella assai grande - Abbondante prezzemolo - 3 spicchi d'aglio - Del pepe nero in grani - Olio evo, sale e pepe Per l'impannata, sfoglia: - 600 gr. di farina 00 - 6 cucchiai d'

Risotti di struttura: melagrana, radicchio di Verona e noci Pecan

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Per entrare gloriosamente nel bel mezzo dell'autunno regalatevi un sontuoso "viaggio della mente". Cucina, soddisfazioni all'ennesima potenza! Il principio ispiratore, come sovente accade nei miei esperimenti (ed i primi freddi mi portano caratterialmente ad osare di più), è il ponderare i contrasti, che di per sé sono assai preminenti. Volendo dare un punteggio: ad un grado 10 di dolcezza dei chicchi di melagrana si contrappone un 5 di amarezza del radicchio rosso veronese ed un altro 5 delle noci Pecan. Il gioco è fatto. Sbizzarritevi nel dosaggio degli ingredienti, a seconda di cosa desiderate far prevalere, l'importante è andare di mantecatura unicamente col burro. Credetemi, vi garantisco una cena di ampio successo con amici e parenti! Alè! VIALONE NANO ALLA MELAGRANA, RADICCHIO ROSSO DI VERONA E NOCI PECAN: 300 gr. di riso, tipo Vialone Nano 1 mazzo di media grandezza di radicchio rosso di Verona Delle noci, tipo Pecan 2 melagrane Abbondante burro 1\3 di por