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Le Leggi Livornine ed il cuscussù. La Storia in cucina

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"Il Serenissimo Gran Duca… a tutti Voi Mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, dicendo ad ognuno di essi salute… per il suo desiderio di accrescere l’animo a forestieri di venire a frequentare lor traffichi, merchantie nella sua diletta Città di Pisa e Porto e scalo di Livorno con habitarvi, sperandone habbia a resultare utile a tutta Italia, nostri sudditi e massime a poveri…" Ferdinando I De’ Medici, “Leggi Livornine”, 1591-93. Si parte, necessariamente, da qui. Sovente mi soffermo sul concetto di quanto sia marcato l’intreccio tra società, storia e tradizioni gastronomiche; quanto il vissuto e le vicende secolari di una città, le proprie “culture straniere”, possano influenzare grandemente nei decenni anche la tradizione a tavola. La svolta ci fu proprio con l’istituzione delle Leggi Livornine da parte di Ferdinando I De’ Medici, tra il 1591 ed il 1593. G

Calamari al lime su crema di fagioli neri al coriandolo e cumino

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Esperimenti estivi... Per 4 persone: - 500 gr. di calamari - 1\2 spicchio d'aglio - succo di 2 lime - 60 gr. di fagioli neri - dei semi di coriandolo - dei semi di cumino - 1\3 di cipolla bionda - 1\3 di costa di sedano - 1 spicchio d'aglio - 1 peperoncino - del brodo vegetale - sale, pepe, olio evo qb. Ammollare per 12 ore i fagioli, quindi passarli sotto l'acqua corrente per eliminare le impurità. In una padella porre dell'olio ed un trito finissimo di 1\3 di cipolla bionda, 1 spicchio d'aglio ed 1\3 di costa di sedano: imbiondire il tutto ponendo anche un peperoncino intero, quindi versare i fagioli scolati e tostarli brevemente, aggiungendo, alla bisogna, del brodo; abbassare la fiamma e, dolcemente, portare a cottura per circa un'ora aggiungendo altro brodo, il cumino ed il coriandolo precedentemente pestati; non salare i fagioli. Pulire i calamari togliendo dente, occhi, scheletro ed, eventualmente, la pelle; tagliare a striscioline il corpo tenendo integr

#citazione

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#GualtieroMarchesi #cucinatoscana #ricette #cucinaregionale #love

Territori e Culture si sposano: cacciucco di ceci e datterini gialli

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Caccciucco! Con tre “c”. Nella città labronica lo si sente pronunciare sovente in questo modo, tra un “dé” ed un altro “dé”; ricetta-manifesto culturale della bella Livorno, porto di mare, storico incrocio e miscellanea di culture di mezzo mondo, anche in cucina. Il livornese è verace di carattere, se ti deve dire qualcosa spesso ti “smanacca” in faccia, gesticola; e così questa caratteristica si riversa grandemente anche nella tradizione gastronomica della città. Esistono altre versioni di questa sontuosa e prelibata ricetta, che può essere declinata anche “alla viareggina” e “alla grossetana”, utilizzando in più scampi, molluschi o gamberoni (il cacciucco alla livornese, MI RACCOMANDO, prevede unicamente l’utilizzo di pesci con lisca, palombo, seppia, polpo e canocchie). Se poi ci spostiamo a sud della Toscana, zona Argentario, gustiamo il celebre “caldàro”: aggiungiamo scorfano, tracina, san pietro, grongo, murena, e patelle. Insomma, grandi tradizioni di zuppe di pes

Quando i manuali di cucina sono dei "monumenti" patriottici: il caso "Cougnet"

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I primi venti anni del '900 hanno rappresentato di gran lunga un originale ed interessante tentativo, sovente riuscito, di concretizzare "su carta" la magnificenza della vasta tradizione gastronomica italiana. Poter consultare quindi, in molti, dei manuali più o meno elaborati, per una funzionale ed ampia "democratizzazione" del cucinare in qualità; novità che andrà progressivamente ad incontrare l'interesse, negli anni successivi, anche delle classi sociali meno agiate. 1910. Alberto Cougnet, medico, poligrafico e giornalista, fu incaricato dal Circolo Gastronomico di Milano di scrivere un manuale che potesse sostituire o aggiornare agilmente il famosissimo e plurieditato, ma un poco d'annata, "La Cuisine Classique" di Dubois e Bernard, dato alle stampe a Parigi nel 1856. La discussione fu ampia e dibattuta: metter mano alla Cucina Classica, innovando in gran parte i contenuti, o proporre qualcosa di totalmente nuovo? Si risolse per la seconda

Tra i calanchi senesi: la ciancifricola e la tradizione contadina

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Parenti... nel piatto! Rischio smodato di consumo di pane. Come sovente accade nella variopinta costellazione gastronomica attinente alla frugale tradizione popolare contadina, molte ricette sono similari per ingredienti e preparazioni. E' il caso di tirare in ballo i "cugini": il calzimperio versiliese (uova al pomodoro) e la ciancifricola senese, sostanzialmente un intingolo ristretto di uova strapazzate e pelati con una base di cipolla e aglio, il tutto da cospargere su pane casereccio. Questi due piatti sono di buon grado espressione della migliore tradizione gastronomica delle zone di appartenenza. L'origine del nome "ciancifricola" deriva dall'unione di due termini: "cianciare" e "fricolare". Nella città universalmente conosciuta per il Palio queste due parole sono assai adoperate: oziare, cioè "fare le ciance", o perdere inutilmente del tempo prezioso; "fricolare" sta invece per tramestare, fare "gran g

#chips

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#chips #patata #farinadiceci #scalogno #yogurt #pepeverde #prezzemolo

Terre di confine e tradizioni orali: la baciocca lunigianese

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La baciocca lunigianese, le famose terre di mezzo, gastronomicamente sempre rivelatrici di meravigliose scoperte. Non c'è niente da fare: noialtri appassionati di ricette regionali toscane ci ritroviamo spesso lì, studiando i manuali di cucina. La Lunigiana è un crocevia pazzesco di storia, cultura e tradizioni gastronomiche che si mischiano tra loro dando vita ad un fantastico e geniale poutpourri. Mescolanza che si riversa copiosamente sulla vasta "letteratura" da poter affrontare ai fornelli. Ricette, ricette ed ancora ricette, con le dovute varianti zonali di uno specifico piatto (già mi espressi in proposito su questa porzione di Toscana), che mutano fortemente tra paese e paese, seppur geograficamente ad un tiro di schioppo l'uno dall'altro. La baciocca lunigianese, nata tra le vallate ed i monti di Liguria e Toscana, ha, come molte ricette di questa zona, una storia molto controversa e dibattuta nella quale è difficile carpire la primogenitura terri

Oltre le polpette, con un poco di storia: polpettone svuotafrigo bollito

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Nuovamente: fine settimana con qualche avanzo in frigo, da utilizzare. Le polpette, sorelle "minori" del fantastico polpettone, (dal latino "pulpa", polpa), sono citate da Apicio nel "De re coquinaria" del IV secolo D.C., poi nuovamente da quel genio di scalco ferrarese che fu Cristoforo di Messisbugo, già presentato in un altro post, nel 1500. Si passa al 1705: nel "Panunto Toscano" il gesuita Francesco Gaudentio utilizza per la prima volta  la rete per la cottura delle polpette (oggi risulterebbe assai strano). Ma è solo nell' "Arte di utilizzare gli avanzi della mensa", scritto di tutto pugno dal poeta Olindo Guerrini nel 1918, che abbiamo la possibilità di attingere a numerose ricette e varianti utilizzando le polpette. Artusi ne parlava, ahimè, schernendole: "Questo è un piatto che tutti lo sanno fare, cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano" (la forma degli escrementi)

Fricassea: volubile e gustosa. Il tacchino

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A-D-O-R-O: fricassea di tacchino! E’ il caso di dire, in questo caso: come rischiare di rovinare irrimediabilmente un piatto se non si adottano tutte le accortezze necessarie. E 4, negli ultimi mesi! Devo confessare che ho un trasporto particolarmente marcato per questo tipo di preparazione, che si abbina agilmente a molte pietanze, dalla carne alla verdura. Rossi d’uovo, limone (ed eventualmente qualche altro ingrediente) per una salsa d’accompagnamento che deve essere figlia della prontezza e della velocità. Le reminiscenze sono francesi, relative solo quasi al termine: “fricasée”, partendo dal concetto di base della stufatura della carne, indica una particolare modalità di cottura degli alimenti (carne) in casseruola con del burro e vino, ai quali viene abbinata, in chiusura, una salsa-emulsione a base di rossi d’uovo e limone, rigorosamente amalgamata all’alimento a fuoco spento, dopo qualche secondo. Il punto centrale sta proprio qui: la prontezza. Il troppo ca

La farina di ceci, questa insolita scoperta...

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Onestamente non è così soventemente utilizzata e, opinione personale, spesso molto sottovalutata: la farina di ceci. Magnesio, ferro, vitamine B e C, potassio per una valida alternativa alle comuni farine di grano. Usando un poco di fantasia, e mettendo al centro la "contaminazione" di sapori, con un adeguato bilanciamento, è possibile adoperarla come ingrediente principe per una terrina tutta estiva, una piacevole scoperta. TERRINA DI ZUCCHINE FRITTE ALLA FARINA DI CECI, GAMBERETTI, ARANCIA, PEPE VERDE IN SALAMOIA, PANNA ACIDA E SCALOGNO, per 3: - 3 zucchine - farina di ceci qb. - 250 gr. gamberetti sgusciati - Ron Pampero qb. - mezzo scalogno - succo di 3\4 d'arancia - pepe verde in salamoia qb. - panna acida qb. - sale, olio evo, pepe qb. Con una mandolina affettare sottilmente le zucchine, oppure utilizzare un trinciante prestando attenzione allo spessore della verdura. Porre sul fuoco una padella con abbondante olio evo, infarinare le fettine di zucch

Il primo ricettario organico regionale della cucina: il caso "Agnetti"

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" Nel presentare al popolo dei buongustai questo libretto, noi intendiamo produrre, nel campo gastronomico, una vera e propria novita'. L'Italia [...] e' diversa e varia nei suoi costumi e nelle sue tradizioni, fra i quali non deve trascurarsi il modo di mangiare." Vittorio Agnetti, Milano, 1909. Sembra assai strano, ma e' tutto cosi'estremamente recente, perlomeno per quanto concerne i manuali di cucina regionale italiana. A livello organico e strutturale, con una lettura che tenti di restituire un'immagine in un quadro piu' nazionale, abbiamo un primo approdo bibliografico solamente con "La nuova cucina delle specialita' regionali", scritto di tutto pugno da Vittorio Agnetti nel 1909. Il percorso di stesura del manuale traccia una via gia' solcata da Pellegrino Artusi, cioe' lo scrivere sperimentando i piatti in prima persona spostandosi di regione in regione. Agnetti ne restituisce pero' un'opera certament

Cotto e mangiato: acquapazza di gallinella

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Acqua, aglio, olio, prezzemolo, peperoncino, nepitella ed il pesce che più ti piace! Tralasciando in parte la classica tradizione meridionale della cottura "in acquapazza", che prevede anche l'utilizzo di pomodorini ciliegini e pesci più rinomati o nobili come i branzini, le orate, i dentici e le spigole, oggi andremo a "rileggere" affrontando una versione un poco più toscana. Adopereremo uno dei pesci da me più amati, la gallinella. Il tocco di classe in più lo regalerà la mentuccia, qui da noi meglio conosciuta come "nepitella", assai in uso già al tempo dei Romani per condire le pietanze o farne un uso curativo. Colpevoli, anni fa, furono dei paccheri alla gallinella, piselli e zafferano: amore a prima vista! Questo tipo di pesce ha una carnosità ed un gusto così particolari che da quel momento è mio l'hashtag #gallinelladelmiocuor. Sin dal primo '800 abbiamo testimonianze della presenza di questa ricetta, al Sud. Tra Puglia, Campani

La tuma e le carrubelle siciliane. Estate nel piatto

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Appena tornato dal mio indimenticabile viaggio nella fantastica Sicilia, ecco un piatto veloce ed adatto all'estate, decisamente poco battuto: le carrubelle, ovvero come poter "leggere" le classiche acciughe sott'olio esaltandole con uno dei formaggi più rinomati dell'isola, la tuma. La tuma viene prodotta unicamente dalla sola cagliata del formaggio, senza aggiungere sale, procedimento che implica quindi un consumo non oltre le due settimane. In altri termini questo formaggio viene prodotto nella primissima fase iniziale di lavorazione del classico "picurinu" siciliano. Precede anche il "primosale", formaggio pecorino "molto giovane" e prodotto durante il secondo livello di stagionatura. Pasta dura, più o meno asciutta, con eventuale speziatura di pepe nero o peperoncino, la tuma ha una forma generalmentre rotonda, possiede una crosta assai dura dal colore tra il giallo ed il marrone chiaro. L'estate è sinonimo di facilità

I fornacini, la cattedrale ed il peposo del Brunelleschi

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Il peposo alla fornacina, meglio conosciuto come peposo del Brunelleschi, nasce tra le colline della valle del Greve, più precisamente ad Impruneta. È ricetta assai umile e semplice, per anni caduta nel dimenticatoio e riscoperta solo da poco; si narra che il costruttore della cupola della cattedrale di Firenze ne fosse particolarmente ghiotto… È risaputo che i numerosi operai, coinvolti nell’opera di costruzione della cattedrale fiorentina, amassero cibarsi di questo piatto a base di carne di manzo, vino rosso, pepe e pochi altri odori facilmente reperibili. I fornacini, addetti al controllo del fuoco che doveva ardere tutto il giorno per cuocervi le tegole del campanile, una volta arrivati a coprire il turno di notte, trovarono il modo di “rallegrare” l’estenuante veglia forzata con un piatto caldo, possibile da preparare sfruttando il forno. La carne disponibile era generalmente di bassa qualità, l’unica che ci si poteva permettere: pezzi di muscolo di manzo tagliato grezzamen

La "Piccola Gerusalemme" ed il suo "sfratto"

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Nell'Area del Tufo, poco meno di 4000 anime, un ridente paesello sito a 300 metri d'altezza, in provincia di Grosseto. Pitigliano è rinomata in tutta la Toscana: sin dal lontano 1500 ospita una comunità ebraica assai strutturata e fortemente integrata nel contesto sociale cittadino. Da qui il nome di "Piccola Gerusalemme". Il quartiere ebraico, la Sinagoga, i bui e stretti vicoli del centro, dominati da cantine, vasche, magazzini e botteghe di cucina kasher. Lo "sfratto", tipico dolce del luogo, nasce in questo contesto storico e culturale. La forma ed il nome sono riconducibili alle dolorose vicende che la comunità ebraica di Pitigliano visse in prima persona al tempo di Cosimo II de' Medici, Granduca di Toscana dal 1609 al 1621. Fu emanato un editto nel quale si intimava agli ebrei di abbandonare le proprie case per trasferirsi nel ghetto. Lo sfratto veniva notificato singolarmente alle famiglie della zona battendo appunto un bastone sulla porta

Il frigo piange, un eco eterno? Ecco le uova all'aglio di Cecina!

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Siate sinceri, vi capita spesso! Che sia la frenesia del lavoro-famiglia-attività varie o l'approssimarsi di ferie lunghe (indi per cui è necessario svuotare il frigo), un terribile e triste eco, interminabile, si impossessa sovente del nostro frigo, lasciando un alone di triste incertezza su tutto... Terrore. Solitari e mesti: spicchi d'aglio, rimasugli di acciughe sottosale e i sempiterni capperi aspettano impassibili la loro sorte, troppo a lungo, diremo! Il bello della cucina tradizionale è proprio qua: puoi fare un gran piatto anche col nulla. Passando intere notti assieme al mio insostituibile manuale, Il Grande Libro della Vera Cucina Toscana, scritto di tutto pugno da Paolo Petroni, ho scoperto questa ricettina easy easy tipica delle mie zone; siamo più precisamente a Cecina, ridente paesello ad un tiro di schioppo da casa mia. Un piatto veloce dove il re assoluto è l'aglio. PS: accertatevi di non vedere nessuno nelle successive 24 ore! UOVA ALL'AGLIO

Tra Ragusa ed Enna: coniglio al fondente

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Reminiscenze spagnole, visti i trascorsi, per un piatto tipico del territorio compreso tra la centralissima Enna ed il sud, il Ragusano. La Sicilia ci regala storia, natura, cultura e magnificenza in cucina.  Il cioccolato, centrale nelle preparazioni di carne, nello specifico negli umidi di selvaggina, era abbondantemente utilizzato durante il tardo Rinascimento, dove i "contrasti" nel piatto erano all'ordine del giorno.  Una piccola variante: mandorle pelate e sultanina, una lettura che si avvicina di gran lunga al classico dolceforte toscano. Dopo 8 ore di marinatura questa carne darà il meglio di sé! CONIGLIO AL FONDENTE, MANDORLE E SULTANINA, per 4: - 1 coniglio - cioccolato fondente amaro al 60%, 90 gr. - 1\2 carota - 1\2 cipolla - 2 cucchiai abbondanti di mandorle pelate - 2 cucchiai di uvetta sultanina - della farina - olio evo, sale e pepe qb Per la marinata: - vino rosso, 350 ml. - aceto di vino bianco, 1\3 di bicchiere - 1 costa di sedano - 1\2 c

Alici, quintessènza del pesce azzurro. La briga

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Se pensiamo alla alice o acciuga subito ci saltano in mente tre preparazioni assai frequentate, testimonianze autorevoli dei territori di riferimento: la torinese e poderosa bagna cauda, le acciughe al verde (“bagnet verd”, salsa piemontese a base di aglio, prezzemolo e acciughe sotto sale, utilizzata per accompagnare i bolliti) ed in ultimo un “assaggio” della pittoresca costiera Amalfitana con le sua rinomata colatura di alici di Cetara, color ambra vivo nel piatto. 40.000! Sono il massimale di uova che una femmina di acciuga depone sottocosta nel periodo di riproduzione, che avviene da aprile a settembre inoltrato. Pesce azzurro per eccellenza, può raggiungere una lunghezza che alle volte supera abbondantemente i 20 cm. Sul mercato troviamo agilmente le alici bianche, leggermente più piccole e adatte a fritti e marinature nel limone, mentre con le acciughe more o morelline possiamo preparare il sottosale o un bel ripieno al forno. Ho scoperto recentemente, con somm

Il termometro, utile strumento spesso sottovalutato

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Lo studio dei processi chimici e fisici della cottura delle pietanze, correlati alla temperatura raggiunta, è stato affrontato assai recentemente: ci siamo accorti che il successo, la riuscita del piatto, sono in stretta relazione a "quanta fiamma" poniamo durante la cottura; ed ecco la sentenza: le temperature, spesso, sono in eccesso! Per un filetto di manzo grigliato, per esempio, è ottimale raggiungere i 56 gradi al cuore; il collagene comincia a sciogliersi a temperature superiori, verso i 64 gradi, sicché si può cuocere uno spezzatino di biancostato, taglio particolare. Altro spunto: se si superano i 62 gradi mentre cuociamo un uovo in acqua, lo zolfo ed il ferro, che separati non danno nessun problema, entrano irrimediabilmente in soluzione formando il solfuro di ferro, leggermente tossico e amarognolo. Per garantire perciò un gusto ottimale alle uova è necessario cuocerle a non più di 62 gradi. I termometri da cucina sono vari e assolutamente necessari alle molte

Matuffi lucchesi... al sapor di mare!

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Ricetta tipica della Lucchesia e di tutta l'alta Toscana, è particolarmente conosciuta nella nostra regione. Come spesso accade per i piatti della grande tradizione locale, sono a nostra disposizione numerose varianti e riletture, anche nei nomi: è assai simile la garfagniga "polenta incagiata" o il "cazzalà" dell'alto massese. Qui, troneggiano tra tutti i ragù di carne ed i funghi porcini, che accompagnano, appunto, dei grossi "batuffoli" di farina gialla e farina 00 formati con due cucchiai, simili ad una sorta di quenelle; l'impasto misto viene messo a cuocere in un poco di acqua fino ad avere una consistenza più liquida rispetto alla classica polenta, facilmente lavorabile con le posate di cucina. Ovviamente, visti gli ingredienti, i matuffi sono maggiormente adatti al periodo autunnale; ma questa versione marinara, scoperta per caso in quel di Viareggio, vuole l'utilizzo di arselle o vongole veraci, sicchè il piatto si può adattare

#dolceforte

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#dolceforte #pinoli #uvetta #prosciutto #capperi #candito #aceto #zucchero

Dolceforte di baccalà. Parola d’ordine: contaminazione!

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Dolceforte, salsa d’accompagnamento assai strutturata, entrante al palato: gli opposti vanno a braccetto a fine cottura! In pieno Rinascimento i contrasti di sapore in cucina erano assai battuti ed amati, soprattutto negli ambienti agiati, a corte; rappresentavano cioè il “mood del momento”, diremmo oggi. Nello specifico abbiamo notizie della presenza di questa parola già nei ricettari dati alle stampe ad inizio ‘500, mentre le zone maggiormente interessate dall’utilizzo di questa salsa erano, storicamente, il Fiorentino ed il Senese. I piatti protagonisti risultavano essere, in massima parte, gli umidi di cacciagione, lepre o cinghiale, ai quali, a metà cottura, veniva aggiunta (reggetevi!) la seguente salsa: una base di cioccolato fuso nel burro, dei cavallucci e panforte tritati, una spolverata di noci sbriciolate, uvetta sultanina e pinoli. Il tutto veniva fatto cuocere brevemente nell’aceto per poi essere versato sulla pietanza quasi a fine cottura. Insomma: contra

1600. I pescatori nel Golfo di Biscaglia: il baccalà

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Il baccalà è il merluzzo nordico (Gadus morrhua), aperto, eviscerato e messo sotto sale per essere conservato. Facilmente reperibile in commercio, lo troviamo "a filettoni", cioè senza lische, oppure intero con le lische. L'origine etimologica è assai complessa e studiata; la parola "baccalà" deriva dallo spagnolo "bacalao" che a sua volta possiede marcate reminiscenze fiamminghe: "bakeljauw" significava letteralmente "bastone di pesce". Ci troviamo agli inizi del '600. I pescatori che partivano dalle coste del Golfo di Guascogna per dare la caccia principalmente alle balene, si accorsero che, per conservare agilmente il cetaceo durante le lunghe ed estenuanti giornate di pesca, era funzionale coprirlo con abbondante sale, che poteva così preservare la salubrità del prezioso pescato. La tecnica fu adoperata anche per il merluzzo. I norvegesi adottarono questa tecnica di conservazione solo successivamente, tanto che, nel tardo

Gamberi allo zafferano ed arancia su crema di fagioli neri

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A metà febbraio ho avuto la fortuna di visitare gran parte dell'Umbria per circa una settima na, ancora totalmente ignaro delle problematiche che sarebbero sorte di lì a poco. Questa regione ci regala storia, cultura e gastronomia all'ennesima potenza . Ho ancora scolpite negli occhi molte immagini suggestive: la magnificenza di Piazza dei Priori a Perugia, la pittoresca Gubbio, gli splendidi luoghi rinati dal terremoto del 1997, Foligno, Nocera Umbra e Gualdo Tadino, l'affascinante spello con le sue viuzze, Spoleto e la perfetta acustica di Piazza Duomo, sede del celebre Festival, lo scrosciare poderoso e violento delle cascate delle Marmore subito dopo l'apertura delle paratie, Orvieto (tutta bellissima, un'insolita scoperta) e Todi, città che ha dato i natali a Jacopone. E poi c'è la ferita non ancora rimarginata, l'ultimo evento sismico che ha sconvolto e piegato queste terre: Norcia, Cascia e Castelluccio di Norcia, quest'ultimo paese sito prop